Quella che state per leggere è una conversazione tra me ed il Professore Tobia Iodice. Una delle infinite chiacchierate tra noi che si spalmano in oltre trent’anni di fraterna amicizia.

Un’ intervista prevede degli interrogativi che non sempre ho posto, in quanto Tobia già sa dove voglio andare a parare.

Seduti sul terrazzo di casa sua abbiamo disquisito su mille tematiche e riportato a galla antichi ricordi, ma il Leit Motiv di questo ennesimo incontro è dovuto alla pubblicazione del suo (per ora ultimo) libro.

Pertanto, tralasciando i discorsi personali, riporto solo quanto ci siamo detti (salvo qualche leggera deviazione di percorso) per ciò che concerne: Dell’Amore, Del Miracolo E Della Morte.

Scorrendo la bibliografia ci si rende conto che hai effettuato delle ricerche minuziose ma oltre modo estenuanti. Che lavoro hai dovuto intraprendere prima della stesura finale?

Beh, il primo passo è stato quello di leggere, nella loro interezza, i carteggi con le tre donne protagoniste del mio libro. Per ciò che concerne quello con la Duse e con la Mancini, si tratta di più di mille lettere per ciascuna corrispondenza. Più breve quello con la di Rudinì. Anche se, in questo caso, la difficoltà maggiore è stata quella di dover fare riferimento a un’edizione critica dell’epistolario con numerose inesattezze.

Parli di tre grandi amori. Per d’Annunzio erano tutti amori di notevole trasporto… Era capace di amare contemporaneamente più donne con immutata intensità…

Vedi, d’Annunzio ebbe per tutta la sua vita un unico, grande amore: la sua Arte. Le donne, tutte quelle che incontrò e per le quali provò un sentimento sincero, per lui non erano che il “nutrimento” di quell’amore supremo. Quando però avevano terminato la loro funzione, quando avevano smesso di alimentare la sua creatività, inevitabilmente dovevano essere sostituite.

Gabriele d’Annunzio entra di diritto nei libri che narrano la Storia, sociale e politica, italiana. Difatti, più avanti, sapremo del Deputato della Bellezza. Passami la battutaccia: quando c’era Lui… c’era pure Lui.

I rapporti tra d’Annunzio e il fascismo sono stati abbondantemente indagati e chiariti da storici al di sopra delle parti, e che certo non possono essere accusati di faziosità o partigianeria. Ebbene, è ormai un dato assodato che il Vate non fu mai fascista, benché, come la quasi totalità degli italiani, guardò con simpatia ad alcune conquiste del regime. Più corretto dire invece che il fascismo fu dannunziano, nel senso che “saccheggiò” a piene mani il repertorio di slogan e riti inventati da d’Annunzio durante la Prima Guerra Mondiale, e soprattutto l’avventura di Fiume. Al netto di ciò, Mussolini vide sempre il Poeta come un pericoloso rivale, e per questo, cavalcando la volontà di d’Annunzio di vivere gli ultimi anni della sua vita appartato e fuori dal mondo, lo riempì d’oro, a patto però che non si interessasse mai attivamente di politica, e non facesse più sentire la sua voce.

Nelle “Avvertenze” preliminari sei stato perentorio. Per il grande Gabriele ci vuole, nel cognome, la d minuscola…

Assolutamente sì. Il padre, Francesco Paolo D’Annunzio, quando lo registrò all’anagrafe del comune di Pescara, pretese per tutti i figli che la “d” fosse scritta in minuscolo. Un vezzo per dare al cognome un tocco di nobiltà.

La Capponcina rappresentava per lui l’Angulus Ridet per eccellenza. Quasi una cappella privata, mi verrebbe da considerarla. Siamo in antitesi con il pagano Gabriele. Per intenderci la statua di Sant’Onofrio accanto al “campo di battaglia”. Come si spiega questo comportamento?

Gabriele non fu mai credente, eppure provò sempre una profonda fascinazione per il sacro. Ma era una fascinazione estetica, da poeta, non certo da fedele. Basti pensare che una degli ambienti più ricchi e affascinanti del Vittoriale è la cosiddetta “Stanza delle Reliquie”, nella quale si affollano tutti insieme crocifissi, statue di santi, idoli orientali e cimeli di guerra. Tutte cose che, per il Nostro, avevano sì un valore “sacro”, ma intendendo con questo aggettivo qualcosa di evocativo, di poetico appunto, non certo di religioso.

Lasciando al lettore il piacere di scoprire l’infinità di oggetti in essa riversati, ti chiedo: aveva in sé un che di maniacale? Considerando la disposizione di ogni singolo manufatto?

Ti rispondo citando il d’Annunzio del Vittoriale, che parlando di sé disse che valeva più come architetto che come letterato. Effettivamente il Vate dedicò sempre un’attenzione maniacale alla “composizione” delle case che abitò. Le riteneva il suo romanzo “di pietre vive”, da comporre con la stessa cura e soprattutto la stessa attenzione e sensibilità alla Bellezza che metteva nella scrittura delle sue opere in prosa o in versi.

Parliamo, o meglio parli, di tre donne: Eleonora Duse, Alessandra di Rudinì e Giuseppina Mancini. Leggendo scopriamo il perché del “sottotitolo”. Per Amore di Gabriele, queste, hanno sacrificato e, come scrivi, messo in gioco la carriera, la dignità e la salute. In pratica si sono donate corpo e anima. È così?

Certamente, come in ogni vera storia d’amore, le tre donne protagoniste del mio libro per amore di d’Annunzio fecero dei grossi sacrifici. Il Poeta non era un uomo semplice, e stargli accanto richiedeva “spalle forti” e grande capacità di adattamento nonché di pazienza. Tuttavia, sia Eleonora che Alessandra che Giuseppina, proprio grazie al loro legame sentimentale con lo scrittore, scoprirono aspetti del loro carattere e una forza interiore che forse neppure immaginavano di avere. Gabriele tirò fuori da ciascuna di loro il meglio, mettendole in condizione di farsi strada e di difendersi in un mondo, tutto al maschile, che voleva schiacciarle.

Poi però scopriamo che la vita sentimentale/amorosa del Vate non sempre è stata una “corrispondenza di amorosi sensi”. Prima fra tutte, tra quelle riportate nel tuo elegante scritto, vi è Ghisola. Una donna, correggimi se sbaglio, che definirei isterica. Ma chi era costei che, suo malgrado, ha dato inizio a tutta una sequela di accadimenti che stravolsero la vita, privata ed affettiva, del d’Annunzio?

Eleonora Duse è stata la più grande attrice che sia mai esistita. L’unica capace di arrossire o di sbiancare in scena; una facoltà che ha del “miracoloso”. Un’interprete di fronte al cui genio si inchinarono la regina Vittoria d’Inghilterra e il Presidente degli Stati Uniti. Eppure, nonostante la sua genialità, era una donna complessa, anche lei non facile da gestire. Era capace di gesti di generosità e di abnegazioni straordinari, ma allo stesso tempo di scenate di gelosia al limite dell’isterismo, come giustamente dicevi. Una donna poliedrica, dalle mille sfumature, che però regalò a d’Annunzio la stagione più feconda della sua carriera di scrittore.

Lui scrive, in risposta a Georges Hérelle, che nei suo lavori non vi è mai nulla di sensuale fine a se stesso Concordiamo?

Assolutamente sì. La sensualità delle opere dannunziane non è mai pornografia, mera esibizione di corpi e di umori. Per Gabriele l’eros era una delle manifestazioni più genuine, più vere della natura umana. E poiché lo scopo di tutta quanta la sua arte fu sempre quello di fare luce sugli aspetti più nascosti, profondi, ma al contempo più veri dell’anima, ecco che la sensualità è sempre presente nelle sue opere.

Gabriele d’Annunzio a scuola di dizione? Oppure autodidatta pure in questo?

Rigorosamente autodidatta. Appena giunto a Roma, poco più che diciottenne, lavorò accuratamente su se stesso per correggere tutti quelle inflessioni che gli derivavano dal dialetto abruzzese e raggiungere quella purezza, quella perfezione nella dizione che fecero dire alla grande ballerina Isadora Duncan: “Quando d’Annunzio parla, sembra che un dio parli attraverso lui”.

A proposito di scuola, consentimi di parlare un attimo col Professore. Leggevo di questo “Manifesto Dei 500” e pertanto volevo sentire la tua opinione. La scuola ha perso la sua autorevolezza? La centralità del docente e la sua azione educativa si sta veramente… deteriorando?

Vedi, la scuola, da sempre, è soltanto una delle agenzie educative. Accanto ad essa ci sono la famiglia, gli amici, la strada etc. etc. Il punto è che mentre fino a qualche anno fa essa veniva considerata importante quanto la famiglia, adesso la società consumistica l’ha degradata fino a metterla alla pari di altre agenzie accessorie. E tutto ciò ha avuto sui rapporti sociali gli effetti devastanti che ogni giorno la cronaca ci sbatte sotto gli occhi.

Ma torniamo a noi. E parliamo di Eleonora Duse. Mi è parsa leggermente calcolatrice per ciò che riguardava la sua carriera. Prima sposa Arrigo Boito; poi la sua antenna telescopica, da animale da palcoscenico, si indirizza verso il d’Annunzio. A quanto pare lo imbriglia a dovere. Dopo di ché se ne innamora. Dimmi.

Eleonora amò tutti gli uomini della sua vita con il cuore. Ma davanti a questo muscolo tenne sempre il portafoglio. In tutte le sue relazioni non dimenticò mai di ponderare il ritorno che queste potevano avere sulla sua impresa teatrale. Come dici, fu amante di Boito, di d’Annunzio, di tanti altri uomini, ma prima d’ogni cosa fu una capocomica, un’impresaria che alla fine della serata doveva far quadrare sul libro-cassa le entrate e le uscite.

Passami questa eresia. In alcune rappresentazioni d’Annunzio quasi danneggia la carriera della Divina, quantunque la critica fosse sempre a lei favorevole…

Al contrario. Gabriele, con i drammi che compose per lei, offrì alla Duse la possibilità di uscire dai clichés che il repertorio romantico le aveva cucito addosso. Grazie a lui poté sperimentare una drammaturgia nuova, lontana sia dall’indagine psicologica di Ibsen e dei vari autori nordici allora tanto in voga, che dalle stantie dinamiche del teatro verista. Il suo limite fu quello di non aver avuto il coraggio di battere la strada che d’Annunzio le offriva sino in fondo. Di aver fatto prevalere la logica degli incassi a quella dell’arte. Fu questo il terreno di scontro sul quale si consumò poi la fine del loro legame sentimentale.

Ma davvero Giulietta Gordigiani irretiva il d’Annunzio…

Sulla Gordigiani ci sarebbero da scrivere dei romanzi! È una figura misteriosa, ambigua. Una “gatta morta” che non disdegnava di concedersi qualche momento di intimità con la Duse (che ogni tanto “saltava la staccionata” con delle parentesi saffiche), e allo stesso tempo cercava di sedurre d’Annunzio, salvo poi fermarlo bruscamente appena il corteggiamento si faceva più spinto. Insomma, una mantide che al giorno d’oggi godrebbe di tanta fortuna.

il quale, ad un certo punto, prende atto che un conto è scrivere; mentre il portare in scena l’opera è tutt’altra operazione. Pertanto, il 18 maggio la Duse marcia su Parigi, con l’intento di surclassare Sarah Bernhardt, Gabriele, presagendo un fiasco, si ferma a Roma. Come si spiega questa, presunta, vigliaccheria?

Non fu vigliaccheria, ma semplice calcolo di quello che oggi si chiamerebbe marketing. Il Vate sapeva bene che non presentandosi a Parigi, nel caso di un fiasco avrebbe potuto non farsi travolgere dalle macerie. In caso di un successo invece, beh, allora il suo mito si sarebbe soltanto ingrandito. Ricorderai certamente la vecchia battuta morettiana: “Mi si nota di più se non vengo, oppure se vengo e sto in disparte?”. Ebbene, possiamo dire che lui anticipò oltre un secolo prima questo dubbio “amletico”, propendendo poi decisamente per la seconda opzione.

Siamo al “tramonto” e le ombre della sera diluiscono la simbiosi artistica/sentimentale con la Duse; mentre all’orizzonte appare la giunonica Alessandra di Rudinì. Una persona, per certi versi contorta, che reca in sé tanti dubbi esistenziali. Tra le innumerevoli donne che hanno accompagnato il Vate nel suo percorso terreno, a mio avviso, la di Rudinì resta, umanamente, la più fascinosa ed intrigante. Che mi dici?

Sono totalmente d’accordo. Alessandra di Rudinì, delle tre “signore” della Capponcina è stata certamente la più affascinante. Dalla critica dannunziana è considerata come una “amante inutile”, dal momento che non compare in nessuna delle opere del Poeta. Invece fu una donna di grandissima complessità e modernità. Una donna che si interrogò a fondo sul senso della vita, che cercò con dolore e sofferenza una risposta a tante domande che gli uomini da sempre si pongono, fino a trovare nella fede la tanto agognata pace. Devo confessarti che anch’io, mentre nella scrittura del mio libro ne seguivo le tracce, mi sono particolarmente appassionato a questa donna straordinaria e così poco conosciuta.

Rileggendo la vita e il tormentato passaggio terreno di Alessandra di Rudinì, mi è venuto da addebitare (anche) ad una “stampa maligna” nei suoi confronti, alcune ambasce che ne hanno caratterizzato l’esistenza…

La stampa, la critica dannunziana che si sono occupate di Alessandra di Rudinì, come anche di Giuseppina Mancini (la terza protagonista del mio lavoro), non sono mai state tenere con lei. L’hanno dipinta come una “suora di serie B”, una donna peccaminosa che per nascondere la vergogna del suo amore scandaloso con il Poeta, alla fine della sua vita scelse la clausura. Nessuno ha mai avuto rispetto per una scelta di vita che arrivò invece alla fine di un cammino esistenziale doloroso, sofferto. Ma queste sono le storture di certo tipo di stampa e di critica maschilista e misogina, che a d’Annunzio e alle sue donne non hanno mai perdonato nulla.

Nel famoso “eptalogo”, stipulato con Alessandra/Nike, all’articolo V, Gabriele promette di offrirle una delle sue mille anime. Questo passaggio mi induce a ritenere il d’Annunzio sempre sincero nei suoi slanci amorosi ma, al contempo, mille volte falso… O no?

E qui “torniamo a Bomba” mi verrebbe da risponderti. Come ti dicevo, d’Annunzio ebbe sempre un solo, vero amore: l’arte, la poesia, la bellezza. E finché le sue donne alimentarono questa passione, egli le amò sinceramente, generosamente. Quando poi avevano esaurito il loro compito, per lui era assolutamente necessario passare oltre. E ti dirò di più: dopo l’inevitabile delusione iniziale, tutte le sue amanti compresero sempre la vera natura dei suoi sentimenti e il ruolo che esse avevano occupato nella sua vita, tant’è che nessuna delle amanti di d’Annunzio nutrì poi mai astio o risentimento nei suoi confronti. Anzi, gli furono tutte grate per ciò che avevano da lui ricevuto.

Scrivi che, molto superficialmente, in tanti lo accusavano di essere cinico, quasi insensibile alle sofferenze che procurava. Così come nessuno si è soffermato sulla sua evidente autoironia. Ti concedo una breve arringa: ne hai facoltà.

Gabriele d’Annunzio è stato forse il più grande autore della Letteratura italiana moderna. L’ultimo scrittore a raggiungere l’eccellenza nella prosa, nella poesia, nel teatro e nel giornalismo. Citami un autore, coevo o anche a lui successivo, che come il Nostro abbia scritto romanzi capolavoro, poesie capolavoro, opere teatrali capolavoro e articoli giornalistici capolavoro. Nessuno. Manzoni, per fare un esempio, è stato grande nel romanzo, grande nella poesia, ma molto meno nel teatro e pressoché assente nel giornalismo. Pirandello? Anche lui un maestro assoluto nel teatro e nel romanzo, ma un disastro nella poesia. Ecco, ad un genio come d’Annunzio, ad un uomo che ha reso l’Italia grande nel mondo e che ancora oggi è oggetto di studio un po’ ovunque, si possono, anzi, si devono perdonare delle mancanze.

Hai focalizzato l’attenzione su tre donne in particolare; nell’epilogo sei stato esaustivo ed hai chiosato con una raffinata analisi, come sempre, e pertanto la risposta la si può trovare leggendo. Vi ho riscontrato un dolore comune, quasi una resa amorosa, per la fine di ogni relazione e soprattutto un’amicizia che ha resistito oltre qualsiasi accadimento. Ma vorrei soffermarmi su quanto Clemente Origo ebbe a scrivere, e cioè: “… Bisogna pur convenire che le donne che si perdono per lui debbono essere addirittura delle cretine”. In maniera superficiale mi verrebbe di dargli ragione…

Sbagli! Gabriele d’Annunzio fu, per tutte le sue donne, il più tenero e premuroso degli amanti. Un compagno sincero, appassionato, sempre ovviamente nella misura in cui poteva esserlo un uomo che sentiva di avere una missione artistica, che si considerava un sacerdote dell’Arte. E questa tenerezza, questa vicinanza il Vate non mancò mai di rinnovarla alla sue compagne anche anni e anni dopo la fine della loro relazione con lui. Quando tutti e tutto le avevano abbandonate, d’Annunzio per loro ci fu sempre. Emblematico è il caso di Giuseppina Mancini. Più di vent’anni dopo la fine del loro legame, quando lei gli chiese aiuto per riprendersi il patrimonio che l’ex marito le aveva rubato, d’Annunzio brigò con le “camicie sordide” (così chiamava le camicie nere fasciste) affinché fosse varata una legge “ad personam” per la sua Giusini che le permettesse di riprendersi ciò che le avevano tolto. Quale amante snaturato farebbe mai una cosa del genere?

Guardavo in Tv la pubblicità di un profumo. La butto lì. Gabriele d’Annunzio antesignano degli/delle influencer? O, quantomeno, Testimonial di notevole presa…

Il primo. In assoluto. Chi leggerà il mio libro troverà la storia, molto divertente, dell’Acqua Nuntia, il primo profumo griffato della storia. Griffato, ovviamente, Gabriele d’Annunzio!

Dove si può acquistare il libro?

Ovunque. In tutte le librerie sia fisiche che on line (a Giugliano dal nostro comune amico “Claudio”), e poi sul sito della casa editrice Carabba. E se qualcuno avesse difficoltà, può rivolgersi al mio “spacciatore di bellezza” fidato: Filippo Di Nardo. Ti inviano un’email e io provvederò a mettermi personalmente in contatto indicandogli dove e come possono procurarsi il testo. Insomma, chi vorrà leggerlo, proprio non ha scuse per non farlo.

Unico quotidiano al mondo che ha una sua peculiarità: esce a Parigi sempre di pomeriggio ma porta la data del giorno dopo…

Sì. Le Monde ha voluto inserirmi tra i massimi esperti della vita di Gabriele d’Annunzio. Un grande onore che, non ti nascondo, mi mette anche in imbarazzo. Ma il merito è tutto del fascino, ancora intatto, del Vate. In vita, e anche adesso a più di ottant’anni dalla morte, è stato uno stregone alla cui magia nessuno era, ed ancora è, capace di resistere.

Questo ennesimo capolavoro di Tobia Iodice, che scrive con una eleganza ed una cifra stilistica non sempre riscontrabile in altri scrittori (difatti non a caso la Carabba Edizioni già parla di ristampa), cattura, narra e ci svela i sentimenti più reconditi di tre donne che hanno condiviso le loro vite, i loro affetti, così come i tormenti, con Gabriele d’Annunzio.

Tre donne il cui destino si è, per volere degli Dei, intrecciato con lo scrittore e soprattutto l’uomo d’Annunzio.

Con questa nuova fatica letteraria Tobia Iodice ci ha rivelato anche, oltre che l’artista, un aspetto di Eleonora Duse che non conoscevamo.

Così come ci ha svelato l’amicizia che poi è sopravvissuta alla fine di ogni liaison col d’Annunzio.

Abbiamo scoperto anche l’aspetto profondamente umano, che non sempre gli è stato riconosciuto e di cui non eravamo a conoscenza. del Vate.

Un libro, imperdibile per dannunziani e non, a cui non manca neppure una spruzzata di suspense, e che indubbiamente ci riconcilia con la Lettura.

Copertina Dell’Amore Del Miracolo E Della Morte

Copertina Dell’Amore Del Miracolo E Della Morte

filippodinardo@libero.it

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