Melitesi, eccoci qui! Siamo arrivati nuovamente alla seconda settimana di ottobre: si festeggia il nostro Santo Patrono Stefano. Per molti questa settimana è solo una fonte inesauribile di stress, di lamentele e di disagi, ma per alcuni, è un momento atteso (non dico tutto l’anno, ma di tutto il post-vacanza). Ricordi, suggestioni, atmosfera, devozione, sono tanti i motivi che bene o male portano un melitese vero a non risentire tanto dei disagi di questa ricorrenza, ma a coglierne altri significati.
Quest’anno, come sempre, si stanno rincorrendo le solite polemiche: “o traffic”, “‘e cantant”, “o burdell”, “o sant ca nun è cuntent..”, “la puntualissima pioggia” e la “mazzamma” che riempirà la piazza e – come ogni anno – mi tocca leggere tante leggende metropolitane che è il momento di sfatare.
1) La festa non è pagata dall’Amministrazione.
A Melito abbiamo una marea di problemi; ne abbiamo talmente tanti che faremmo prima ad elencare i pregi… e anche su questi ultimamente faccio un po’ di fatica, ma vi posso assicurare che nessun euro (o quasi) viene sottratto alla risoluzione delle problematiche che viviamo ogni giorno. I soldi per finanziare l’illuminazione, la banda, i cantanti, i fuochi, i microfoni, il trattore, o camion e tutto il resto sono quelli ottenuti con la questua che si fa tra commercianti e fedeli. Quindi state tranquilli: se quando passa il Santo sotto casa vostra non mettete mano alla tasca, voi non spendete nemmeno un euro…
I soldi delle paparelle che muoiono dopo una settimana, dei pesci che durano un giorno, dello zucchero filato e del torrone se li mettono in tasca i gentili ambulanti.
2) Sono finiti i tempi belli.
Molti si lamentano della qualità dei cantanti: “ma un cantante buono non lo sanno chiamare invece di tutti questi napoletani?” è un ragionamento condivisibile, sacrosanto, giusto, bello, direi addirittura “a uerr”, ma non è compatibile con l’attuale “bilancio” della festa.
Paradossalmente l’incremento demografico del nostro paese (ora città) non ha visto un eguale aumento delle offerte al santo, anzi, queste diminuiscono di anno in anno… e fra qualche anno – di questo passo – il massimo che ci si potrà permettere è una serata di karaoke in piazza. I cantanti seri costano e, parliamoci chiaro, a Melito non sapremmo nemmeno dove farli cantare a sti ‘poveri’ cristi. I neomelodici costano poco e piacciono ad un numero discreto di persone.
La crisi, l’allontanamento dalle tradizioni, la diffidenza e non so cos’altro hanno progressivamente influito anche sulle “casse” del Santo… e chillu bellu capcuoll a 30 milioni non ci arriva più (ora è un miracolo venderlo a 300 euro + una pacca sulla spalla).
3) Ma che è sta cafonata?
Utilizzo questa celebre espressione di Cristian De Sica per riassumere alcuni dei commenti dei più critici sulla festività. La cafonata, come la chiamano alcuni, fa parte delle tradizioni (forse è l’ultima) di questa città e dobbiamo sperare che non muoia. Le feste di piazza, di paese, patronali – chiamatela come vi pare – fanno parte delle usanze di ogni comunità meridionale e qualche disagio, ne sono sicuro, lo si vive ovunque.
Si, magari bisognerebbe cambiare la formula: il cerimoniale avrebbe bisogno di un po’ di rinnovamento, si potrebbe risparmiare su un po’ di illuminazione, si potrebbe pensare a forme di intrattenimento diverse, sicuramente, ma NON POTETE RICORDARVENE SOLO QUANDO VIENE PUBBLICATO IL PROGRAMMA DELLA FESTA.
Volete una festa diversa? Attivatevi prima!
Cari concittadini, siete fortunati: al momento non mi viene altro da dire!
Un consiglio però lo voglio dare: vivete questa festa tra la vostra gente. In strada, in famiglia, in chiesa, in piazza, condividete questa festa IDENTITARIA. Si, la festa patronale è identità, è il riconoscersi come comunità, è rivivere un ricordo, è rivedere tra la sua gente quella statua che sta lì dal 1675 e – che si creda o meno, che si sia devoti o no – emozionarsi sempre un po’.
Buona festa di Santo Stefano, melitesi.
Ciao.
da: nickmar86.wordpress.com