Un fenomeno drammatico che continua in assenza di una politica comune della U.E.
Immigrare vuol dire lasciare un Paese, uno Stato, per andare a vivere stabilmente in un altro, magari di un diverso continente del mondo e gli italiani questo lo sanno bene perché, solo tra il 1890 ed il 1910, ben 9 milioni di nostri connazionali “emigrarono” verso gli Stati uniti d’America, l’Argentina, il Brasile, gli altri paesi sudamericani, fino a raggiungere l’Australia. Erano migranti “economici” che fuggivano dalle miserie vissute in Italia, dall’arretratezza, dalla mancanza di prospettiva lavorativa e di miglioramento sociale. In quelle epoche ormai lontane, molti di essi, pur dopo stenti e privazioni o cattivi trattamenti iniziali, riuscirono tanto operosamente ad inserirsi nelle nazioni di arrivo e molti vi hanno fatto fortuna, creando una vasta discendenza: ad esempio di italo americani; fra gli ultimi, l’attuale sindaco di New York, Bill De Blasio. Ma, venendo al grave problema in atto nel vecchio continente, da molti mesi, assistiamo alla sconfitta dell’Europa, dell’umanità come della stessa ragionevolezza, per non parlare dei sentimenti religiosi calpestati dalla realpolitik ed in specie dei sentimenti cristiani. Fatti come lo sgombero militare della tendopoli (o meglio della cd giungla) di Calais, i muri di filo spinato continuamente eretti nell’Europa centrale balcanica ed i migranti che tentano di forzare il confine tra Grecia e Macedonia sono soltanto gli ultimi episodi di una storia fatta di egoismi a catena e che non può portare da nessuna parte. La soluzione del problema dei profughi deve essere condivisa, altrimenti l’Europa rischia grosso. Il vertice fra l’U.E. e la Turchia di lunedì scorso, poi rinviato, dovevà mettere un punto fermo, eppure è fallito, anche per le richieste inaccettabili di parte turca. Sarebbe bene che si ascoltassero, anche stavolta, le parole della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, che, unica statista europea, per difendere la politica dell’accoglienza è disposta a rischiare anche la sua popolarità e la propria rielezione. Perché è la stessa idea dell’Europa quella che è realmente in gioco. Ora, se risulta ormai e evidente che le regole del Trattato di Dublino vanno cambiate od almeno aggiornate, necessita una vera politica comune del problema; ma è altrettanto chiaro che la Grecia e l’Italia non possono essere più lasciate sole ad affrontare l’emergenza. Che sarà tanto peggiore se si permetterà ai paesi della cosiddetta rotta balcanica di chiudersi e blindarsi. Il dramma sarà aggravato e di certo non serve strillare, come pure fa il nostro ministro degli Esteri dichiarando che: “l’Europa é sull’orlo del precipizio”. Chi governa l’Europa non può solo lanciare allarmi, ma deve parlare e agire nel consesso internazionale in modo concreto ed autorevole per far sì che la cultura dell’accoglienza, con regole ferme e sacrifici condivisi, prevalga finalmente nell’Unione.
Giorgio M. Palumbo