Molto probabilmente non abbiamo mai bevuto dell’Ouzo.
Può darsi che non abbiamo mai speso Dracme a Santorini.
È presumibile che non abbiamo mai passeggiato per l’incantevole Marmaro.
Di sicuro tutti sappiamo che la Grecia è culla di civiltà, nella quale sono nati i primi giochi olimpici; così come siamo a conoscenza che è stata ed è tuttora patria di grandi artisti.
Uno di questi è senza dubbio Michalis Dolapsakis.
Ho avuto modo apprezzare la sua arte attraverso alcuni video (https://www.youtube.com/watch?v=SntrC7P8Qzk e
https://www.youtube.com/watch?v=17lpy0Aw_8g) e questo mi ha oltremodo incuriosito.
Pertanto ho cercato di conoscerlo meglio e Michalis, con molta gentilezza mista a passione, ha accettato di rispondere ad alcune domande e, tra un J’accuse ed una inconfutabile disamina sulle dinamiche che regolano il business artistico, raccontarsi.
Lei nasce ad Iraklio, Candia per intenderci?
Esatto. Il capoluogo dell’isola di Creta situata al centro nord dell’isola. Ha detto bene Candia, visto che l’isola e la città in particolare sono molto legate a Venezia.
Qual è l’ atmosfera che si respira all’interno del Palazzo di Cnosso? Sicuramente l’avrà visitato numerose volte…
Le dico la verità: il palazzo di Cnosso non l’ho visitato tante volte. Due o tre nel corso degli anni, nonostante la mia scuola elementare si trovasse a pochissimi chilometri di distanza. L’ho visitato però da piccolo e da grande in modo da poter apprezzare di più il luogo. Devo dire che l’energia che si prova, solamente stando in quel posto, è una cosa indescrivibile. L’aria che passa continuamente dalle cime dei cipressi che si trovano sparsi per tutta la zona, la luce del sole, il blu del cielo, sono le cose che maggiormente mi colpiscono. Le geometrie dei vari locali, stanze, i percorsi, gli affreschi, raccontano un altro approccio verso la natura.
Immaginare poi che in quel luogo è nata la civiltà europea è una cosa che fa rabbrividire i sensi. Purtroppo le parti che vediamo sulle cartoline sono ideate da Evans, l’archeologo, che all’inizio del ‘900 fece grande danno al sito archeologico, ricostruendo in cemento armato parti della struttura basandosi su plastici fatti con terracotta. Queste però erano le tecniche dell’epoca.
La sua città natia è una città di mare. Mi piace pensare che lei abbia un carattere solare, aperto, espansivo. È così?
Iraklio è una micrografia di Atene dal punto di vista del caos urbano e anarchia. Stranamente mi attrae questa sua forma, non da classica città da isola greca. Nonostante il mare ce l’abbia davanti ai piedi non è la classica città di mare, ha le spalle girate in un certo senso. Creta, vede, è un luogo dove gli opposti si incontrano; forse avrò preso qualcosa dal luogo stesso.
Per rispondere alla Sua domanda, Le confermo che sono aperto come carattere. La verità è che non sorrido tantissimo; tante volte mi si dice che sembro arrabbiato, ma non è assolutamente così. Sento spesso che il mio umore cambia molto velocemente e che da uno stato di felicità passo ad essere malinconico. Vedo comunque che gli altri spesso ridono di gusto con le mie battute o imitazioni. Più che altro mi diverto io un sacco a imitare le persone, mi viene in automatico replicare tono di voce, movimenti e certi tic che li caratterizzano.
Signor Michalis a che età si trasferisce in Italia?
Mi trasferii a 18 anni, subito dopo aver conseguito la maturità a scuola (in Grecia finiamo un anno prima, rispetto all’Italia). Avevo scelto l’indirizzo scientifico per iscrivermi ad Architettura, ma non sono andato particolarmente bene agli esami d’ammissione in Grecia. Il punteggio necessario per entrare era altissimo e le facoltà a numero chiuso. La ricetta perfetta per non aspettare un altro anno per riprovare e di conseguenza andare all’estero. Scelsi poi Venezia per iniziare il mio percorso di studi universitari.
Quali erano le sue aspettative, umane ed artistiche, quando ha lasciato Creta?
Non saprei rispondere in modo completo. Forse fare al meglio le cose che in Grecia, credevo, non fosse possibile fare, come per esempio gli studi in architettura che inizialmente ero orientato a conseguire. Onestamente non avevo un’ idea precisa, mi bastava lasciare la casa, vivere da solo per misurarmi con la vita.
Sin da piccolo ero incantato dai racconti dei miei: anche loro hanno studiato in Italia. La loro forte amicizia con Carlo Scarpa e i loro incontri con il meglio che l’Italia vantava a livello culturale mi hanno spinto a voler incontrare questo luogo. Se senti storie con De Chirico, Licata, Astengo o del grande Sandro Pertini di certo non rimani indifferente. Io credevo che l’Italia fosse ancora il luogo dove si incontrano i “grandi”. Mi aspettavo di andare incontro a tante cose straordinarie , credevo che lì avrei sviluppato il mio talento e avrei coltivato la mia passione per il disegno.
Lei si laurea in Pianificazione Territoriale Ed Urbanistica: dove?
Mi sono laureato presso l’Università IUAV di Venezia. Feci la triennale e specialistica in Scienze della Pianificazione Urbana e Territoriale negli anni della transizione dal vecchio al nuovo ordinamento. Quelli del mio anno eravamo gli ultimi che avevano qualche appiglio con il vecchio modo di fare università; almeno così credo. Non scorderò mai il percorso universitario e le forti amicizie che ho stretto durante tutti quelli anni.
Il suo titolo di studio come si coniuga sul piano lavorativo?
L’urbanista, il pianificatore in generale: è colui che dovrebbe dare le linee guida per lo sviluppo del territorio, urbanizzato e non. È colui che deve realizzare i piani territoriali di grande-piccola scala sul territorio tenendo conto di una molteplicità di fattori e attori locali. A differenza degli architetti che devono dialogare con una realtà singola, come un privato o un ente, l’urbanista deve dialogare con la pubblica amministrazione che è il suo committente. Poi c’è una pluralità di soggetti che devono collaborare per la realizzazione dell’opera urbanistica in questione. Pensiamo ad un semplice inserimento di un parco in un contesto urbano fino al tracciamento di grandi opere autostradali o la localizzazione per una zona di smaltimento per rifiuti urbani. È una disciplina molto difficile sopratutto perché deve fare i calcoli in un orizzonte temporale molto ampio. Purtroppo siamo meglio conosciuti come quelli che “lavorano al comune o alla Regione”, più che coloro che lavorano in uno studio di Urbanistica. Dico purtroppo perché l’ambiente è sempre disegnato come il tempio della burocrazia. Di solito siamo dominati dagli architetti che sono i factotum ormai in materia e non hanno lasciato spazio (o chi per essi) a noi urbanisti. Noi poi ci ricicliamo dentro studi di architettura, geometri, e come ho detto prima, nella pubblica amministrazione.
Leggo che fin da subito ha realizzato sue Personali. Qual era il tema di queste sue prime esposizioni?
Ho cercato di essere operativo nel campo artistico sin dall’inizio. La mia prima mostra fu proprio sotto casa nell’ enoteca la Barrique, sede dell’omonima Associazione culturale che all’epoca era il punto di ritrovo di tanti personaggi di cultura della città di Mestre. Mi fecero l’onore di ospitare la mia prima mostra di Metallotecnia con l’omonimo titolo. Poi man mano che ebbi una continuità nel produrre nuove opere fui ancora più frequente nel fare mostre. Il tema centrale era comunque il metallo attraverso la tecnica che ho menzionato prima, attraverso diversi percorsi che scelsi per ogni mostra per raccontare delle storie. Iniziai ad usare anche la fotografia digitale sia per sposare le due tecniche sia per esaltare ancora di più dei particolari dalle mie opere su metallo.
È stato facile per lei introdursi rapidamente in un contesto che talvolta storce il naso al primo arrivato? Oppure ha trovato difficoltà d’ambientazione?
Devo ammettere che non ho avuto problemi. Poi quando sei giovane hai un filtro abbastanza grosso per queste cose. L’Italia ha sempre accolto e accoglie tutt’oggi, nonostante le tante parafonie degli ultimi anni. Avevo poi quell’ amore e stima per l’Italia che Le ho raccontato prima. Ovviamente gli anni erano diversi e la società osservava, noi studenti, sotto un’ altra lente. Eravamo quelli che venivano dall’estero; portavamo cambio, affittavamo case, insomma, migliaia e migliaia di studenti non sono una brutta cosa, no? Brutto da dire ma è la verità. Non sono mancati ovviamente episodi di discriminazione ma questi, come sempre, sono frutto di ignoranza che non conosce confini. Però l’amore e la stima che nutre l’Italia per la Grecia (e viceversa) non passano inosservati.
Lei scrive che il Disegno, così come il ritocco fotografico ed il video sono le attività che più la stimolano per esprimersi con la sua arte. Potrebbe semplificare dicendoci come, praticamente, nasce la sua ispirazione, e come poi la traduce nel gioiello finito?
Sono appassionato con qualsiasi cosa mi dia la possibilità di realizzare la mia idea su una superficie e dentro uno schermo. Di solito mi da tantissima spinta un pezzo musicale. Qualche volta ho sognato luoghi, scene, personaggi, che poi ho cercato di riportare “in vita”. Difficile direi perché non ho mai la lucidità e la freddezza, appena svegliato, di stare seduto per cinque minuti e scrivere due righe per descrivere il sogno che ho appena fatto. Ho anche una maniacale, direi, attaccatura alla luce che avvolge i soggetti o i luoghi. Percepisco diverse energie e dinamiche ogni volta che la luce cambia in un determinato luogo.
Una volta decisa la cosa da fare, mi metto all’opera cercando di essere fedele alla mia visione originale; difficile, devo dire, anche perché cerco sempre di cambiare qualcosa. Se è un disegno, cerco di essere molto preciso e rilassato per rendere al meglio. Se metto in gioco il disegno digitale, il ritocco in generale, provo un infinità di strati diversi di luce, di colore, di sfumature per sposarli con la fotografia originale o il disegno.
Mi da tantissima soddisfazione quando, con poche linee, riesco a rappresentare quella precisa immagine che ho in mente. L’emozione che provo, è molto forte e rischio spesso la messa in opera. Magari sto a pensare le alternative e devio dal progetto iniziale. Ecco perché la concentrazione e la calma servono per portarti alla fine. Concentrarmi e lavorare segmentando le diverse parti dell’opera (che sia disegno, pittura, o video è indifferente) mi risulta molto faticoso perché mi distraggo molto facilmente. Queste distrazioni però possono anche risultare una fonte di idee che prima non avevo. L’importante per me è saper fermarmi quando il corpo è privo di energie. Tantissime volte ho lavorato fino all’alba dove però il silenzio accompagnato dallo ronzio della città, la natura che cerca di farsi sentire, riaccendono la macchina creativa.
Se leggo bene, un’altra sua passione/lavoro è la Metallotecnia. Perdoni la mia poca, nulla direi, competenza e mi dica in pratica in che consiste questa forma d’Arte?
È una forma che ha le sue radici nell’epoca minoica e micenea, dove troviamo gli esperti del bassorilievo e nella gioielleria. Quest’arte fu riproposta, se possiamo usare questo termine, da mio padre Kostis Dolapsis che è il suo vero maestro e che le diede anche il nome. Essa consiste nel prendere una lastra fine di metallo di pochi decimi del millimetro e renderla il piano di raffigurazione della trasformazione della forma stessa. La raffigurazione e il modo con il quale legano tutte le figure, le linee e gli ornamenti tra di loro è del tutto particolare. Il metallo ci regala delle forme incredibili quando si flette, quando si scioglie, quando subisce torsioni. Sulle lastre che elaboro in particolare vengono create profondità e prospettive che cambiano poi a seconda della luce che cade sulla superficie metallica. Ci sono senz’altro elementi di incisione, bassorilievo, sbalzo, della maniera che conosciamo ma sotto un’altra tipologia di rappresentazione. Ogni pezzo poi che viene creato diventa pezzo unico ed è molto difficile (quasi impossibile) riprodurlo.
Usa un metallo particolare?
Maggiormente utilizzo l’ottone poiché più elastico, meno morbido, rispetto al rame per esempio. Poi anche rame, alpaca (una lega di vari metalli), oro o argento.
Ma quand’ è che si accorge di questo suo trasporto verso il freddo, amorfo metallo che, poi, attraverso la sua plasmazione diventa un capolavoro di stile? E come si modella un duro pezzo di metallo?
Sin da piccolo provai a fare qualcosa, giocando, come d’altronde lo si fa con qualsiasi altra forma d’arte. Una volta però arrivato qui in Italia iniziai a provare sul serio. Ci vuole tanta pazienza e preparazione psicologica per rendere al massimo ed applicare in maniera corretta la tecnica. Il metallo risponde man mano che lo stai modellando, con una punta d’acciaio, e bisogna essere attenti a non andare oltre i suoi limiti strutturali. C’è da gestire le tensioni che si creano ed includere gli errori; essi poi non devono essere considerati come tali ma come parte del percorso evolutivo dell’opera. La particolarità di questa forma di arte è che non si possono cancellare gli errori, tracciando una linea, oscurando, togliendo o colorandoci sopra. Bisogna intervenire in modo indiretto per colmare i vuoti e lavorare su diversi punti affinché il metallo non subisca torsioni e flessioni tali da compromettere la sua forma. Immaginiamo un po’ l’universo: nulla va perso e nulla si crea se prima qualcos’altro non è stato distrutto. Una continuità che fa sì che tutto sta in piedi. Detta così, banalmente, non è altro che quello che voglio fare sul mio foglio di metallo: creare una continuità che fa nascere un infinità di forme.
Lei vede un qualcosa che sembra semplicemente inciso o disegnato sopra ma c’è dietro un lavoro che tiene conto il maggior equilibrio possibile. Un’ ultima cosa da sottolineare è che quasi su tutti i lavori di metallotecnia non esiste un pre disegno da inciderci poi sopra. È un insieme di linee e figure che nascono in maniera istintiva ma devono seguire percorsi molto precisi se non vogliono finire in un buco nero di incertezza. Quell’incertezza è il frutto della mancanza di preparazione che ti mette davanti a un muro e credi di non poter più continuare, crescendo dentro di te il senso di disperazione. La parte più difficile è superare quell’ ostacolo e continuare.
Quello poi che mi rende felice è che fra dieci persone che possono osservare l’opera, nessuno vede la stessa cosa o almeno, interpreta l’opera nella stessa maniera. Certamente esiste un tema, una figura centrale, che io stesso cerco di far esaltare, ma a volte non finisce per essere il protagonista ma un qualcosa che si intravede.
Lasciando stare la vita notturna, ma volendo trascorrere un fine settimana dalle sue parti: che consiglia di vedere con attenzione a Heraklion?
Se dovessi consigliare, sicuramente Cnosso e il museo archeologico. Poi passeggiare lungo le mura veneziane che cintano la città ed arrivare fino al porto per ammirare gli arsenali e il porto veneziano. Proporrei anche di camminare lungo le strade strette di certi quartieri che nonostante non belli esteticamente trasmettono un senso di città trascurata, trasandata ma allo stesso tempo dinamica. Se capita poi qualche concerto nel teatro all’aperto Manos Hatzidakis, sarebbe una vera fortuna, visto che tantissimi artisti greci e stranieri si esibiscono lì durante l’estate.
Facciamo molti passi indietro. Già nel duemila, quindi giovanissimo, viene premiato dal Ministero Greco dell’Istruzione e dal UNHCR nel concorso nazionale di Disegno, Poesia e Testo per la giornata mondiale dei profughi/rifugiati di guerra. Che ricordo ha di quella giornata?
Fu un esperienza che non scorderò mai. In primis per la premiazione inaspettata, perché onestamente quando ci informarono a scuola del concorso io credetti che fosse una cosa a livello Regionale – al massimo. Poi arrivò la sorpresa! Se non ricordo male furono tre categorie: Testo, Poesia e Disegno/Pittura. Io vinsi uno dei tre primi premi per un disegno che raffigurava il dolore che attraversava la popolazione anziana che dovette emigrare dopo i bombardamenti della NATO in Kosovo. Non ho idea dove siano finiti i nostri disegni dopo l’evento.
Fui premiato direttamente dal Ministro Della Pubblica Istruzione e dalla segretaria generale del UNHCR all’interno del palazzo storico “Zappeion Megaron”. Seguì dopo qualche mese la visita alla sede dell’UE a Bruxelles per tutti i ragazzi/e premiati che avevano già conseguito la maturità. Un esperienza indimenticabile.
Alcuni anni dopo vola ad Hong Kong. A quale mostra partecipa?
Purtroppo non riuscì ad andare per via degli studi e della paura del Sars (che ancora non era chiaro se fosse sicuro un viaggio da quelle parti). Partecipai alla mostra di mio padre realizzata con il grande aiuto di mia sorella Olga che all’epoca viveva in quella città. Il titolo era “Aenaon Fos” (trad. Luce Perpetua) al M1NT club di Hong Kong. Ancora oggi rimpiango per non aver visitato questa città particolare.
Mi parla di suo padre: Kostis Dolapsis?
È la persona a cui devo la passione che ho coltivato per l’arte. Sia io che mio fratello, anche lui appassionato e con grande talento per il disegno. Lui crede in tutto ciò che facciamo e ci dà sempre il lato positivo da conservare da qualsiasi esperienza. Ha sempre creduto e lottato per la libertà e la giustizia sociale. Ha pagato molto caro il suo senso di aiuto e il dovere verso il prossimo. Sin da piccolo mi ha mostrato i segreti dell’arte e mi ha fatto sperimentare moltissimo con tanti materiali, mi ha insegnato come rispettare tutto il processo creativo, a non sprecare le energie inutilmente e – soprattutto – ad avere pazienza. Non ha mai rinunciato all’arte, anche quando lavorava come architetto. Lavora quasi tutto il giorno per creare sempre nuove opere d’arte e questo ci ha insegnato che nella vita bisogna fare ciò che si ama di più e coltivarlo con amore. Il continuo miglioramento della tecnica è molto importante e fondamentale per la crescita interiore dell’artista. Anche dieci minuti bastano, mi dice sempre.
Il suo curriculum artistico è più che corposo, e pertanto tralascio alcune sue partecipazioni e premi. Il 2011 la trova a Marghera, dove si classifica al primo posto nel 27° concorso: “Premio Marghera-Renato Marinato. Con quale opera?
Era un opera senza titolo. L’avevo iniziata come uno scarabocchio e poi andavo avanti sempre di più complicando passo dopo passo il “racconto”. La figura centrale è una figura femminile con un bambino seduti su una panchina. Dietro di loro un universo di diverse prospettive.
Ai giorni nostri partecipa alla mostra collettiva per i 1600 anni di Venezia: dove ha presentato?
La mostra è stata inaugurata a Venezia nell’albergo Ca’ Sagredo, sotto l’organizzazione dell’Associazione culturale NEXT. Ho creato due quadri per questa occasione: un mix fotografico che rappresenta i santi protettori della città con il titolo “Il Regno Dei Cieli” ed una panoramica ad acquerello, più tecnica mista, che rappresenta Venezia con i suoi monumenti che si intravedono attraverso i pali di legno sui quali poggia la città; quest’ultima ha il titolo “Fondamenta”. Un bellissimo evento e un onore per me farne parte.
Che sensazione si prova ad allestire una Personale? Un successo ormai consolidato?
Devo dire che si tratta di una sensazione unica, perché rendi finalmente pubblico il tuo lavoro. Le opere ricevono i primi sguardi ed osservazioni e per me è come se prendessero vita. Allo stesso tempo, secondi prima che inizi la presentazione lo stress domina i sensi! Costruttivo ovviamente ma comunque stress. Ho la sensazione che non sono mai al completo e che manca sempre qualcosa. Non scorderò mai la mostra che feci all’interno della facoltà di Pianificazione del territorio nel palazzo Tron a Venezia. Per me era un sogno realizzare una mostra in quel luogo, proprio perché si erano laureati i miei nello stesso palazzo. Ho accettato poi qualsiasi luogo che fosse aperto ad ospitarmi: bar, enoteche, osterie, baccari, pizzerie. Questi sono per me i veri luoghi dove nasce l’arte. Il pittore, il poeta, il cantante, tutti possono ritrovarsi in questi luoghi e dialogare come loro sanno fare; per il resto, credo, servono tante pubbliche relazioni. Ho sempre associato una festa ad ogni mia apertura di mostra, proprio per ringraziare di cuore chi la visita.
Michalis, lei spazia, con grande maestria tecnica, dal figurativo all’astratto: questo sta a significare che è alla ricerca di una sua linea pittorica; oppure sono le sue due anime che si manifestano?
Cerco di migliorare, di evolvermi. Alla fine è la via credo che un artista deve seguire. Mai arrestarsi per godere il panorama a lungo. La tecnica che trasforma il tuo modo di esprimere è tutto alla fine. L’idea nasce nel cervello ma le mani devono per forza eseguire. Lo stesso in qualsiasi forma di arte e non solo. Mettere in pratica ciò che ho in mente chiede di scendere in basso, accettare i punti deboli e cercare di superare gli ostacoli. Quello poi che Lei definisce astratto è la mia interpretazione del movimento. Vedo figure che nascono e si trasformano in qualsiasi oggetto che si muove. Forse è un ossessione la mia quella di includere qualsiasi linea casuale in un contesto figurativo.
Il lavoro con il metallo mi ha insegnato tanto. Ho passato innumerevoli notti a capire come domare le figure che nascevano in continuazione davanti ai miei occhi man mano che incidevo sulla lastra.
Il legame che c’è fra il figurativo (che devo ammettere che ho tantissima strada da fare ancora) e l’astratto è che entrambi sono uniti dalla voglia di trasmettere un’ emozione (qualsiasi essa sia) a me in primis, e poi allo spettatore. Se non mi emoziona quello che sto raffigurando non riesco a continuare e cerco di trasformarlo il più possibile. Nel figurativo, butto via decine e decine di prove; nelle opere che raccontano le forme invece cerco di applicare una teoria di inclusione di tutti i passaggi affinché vengano auto raccontati senza che sembrino elementi di disturbo.
Tra i suoi dipinti figura anche Pier Paolo Pasolini. Perché proprio lui?
Un pensiero libero. Uno sguardo crudo verso la realtà sociale che viveva nei suoi anni e che ha pagato con la sua vita. Chi meglio di lui ha raccontato la trasformazione della società italiana, dopo il boom economico, i mali che nacquero proprio da quel passaggio e le nuove “morali” che hanno ostacolato persone del suo calibro e sensibilità? Vengo sempre attratto e affascinato da persone che rimangono originali.
Nel 2015 l’Associazione Culturale MusicaEmozioni organizza, per la Fondazione Benetton, l’Opera: Orfeo Ed Euridice. Quali scenografie ha preparato per questa rappresentazione?
Ho preparato le scenografie digitali per lo spettacolo, sotto la regia del soprano Lucia Mazzaria e la guida musicale del pianista e scrittore Alessandro Pierfederici, entrambi di fama internazionale. Loro mi fecero l’onore di vestire con le mie immagini le scene dell’opera. Rimane sempre un ricordo indelebile per me e li ringrazio tanto per questa grande opportunità.
Ritornando ai suoi dipinti ho visto che vi figurano anche Ernesto (il Che, come lo definirono i cubani per questo suo intercalare) Guevara ed il Generale Georgios Karaiskasis, patriota greco conosciuto come Iskos. Mi dica la verità: attraverso le sue opere vuol trasmettere il suo spirito “ribelle”?
L’animo ribelle di questi personaggi ha fatto sì che sono state scritte pagine di storia importanti. Sono stato sempre attratto dalla loro originalità. Vorrei, in futuro, rendere omaggio a più personaggi possibili che hanno segnato la storia. Io credo che già essere se stessi è una forma di ribellione verso l’omologazione. Sa, il modo di vestire, di atteggiarsi, di postare la vita meravigliosa, attraverso brioche riscaldate e succhi di pesca biologica, non è il mio modo di essere. Anche se qualche volta, avrò postato qualche piatto greco!
Ultimamente sento la routine di tutti i giorni che mi ha segato un po’ la voglia di reagire. Penso un po’ a tutti noi. Figuriamoci poi adesso con tutta questa pandemia. Da giovane ero più impulsivo e reattivo, forse anche troppo. Se volessi esprimere però il mio essere artista credo che il fatto di non scendere a compromessi è una cosa che posso confermare per me. Voglio essere sempre sincero con me stesso: facciamo arte per vivere e sopravvivere. Ho sempre espresso la mia voglia di poter esporre e avere, sopratutto, la possibilità di visibilità di tutti gli altri. Invece succede che tanti artisti devono sempre fare i soliti percorsi di conoscenze, amicizie, di giri che sono sempre i soliti. Pagare ovviamente per avere spazio per le tue opere. Galleristi, critici, e tutto il solito giro che attraverso la tua di fatica e dedizione, sembra dopo che abbiano realizzato loro le opere!
Non mi piacciono le finte modestie di chi è già nel sistema e riesce ad esporre sempre senza tanta fatica. La stragrande maggioranza degli artisti fanno tanta ma tanta fatica. Gli viene sempre chiesto: “Quanto costa? Non ne puoi fare uno più grande? Ma faresti altre cose?” Sempre con un tono critico ma non costruttivo. Fatica a creare, ad organizzare, a vendere: perché come disse Renoir (almeno così ho letto) “l’unico apprezzamento per un artista sarebbe che qualcuno comprasse le sue opere”. Insisto dunque sulla equità di possibilità. In questo modo non rimarrebbero sempre sovraesposti gli artisti che ripetono se stessi, solamente perché sono diventati un brandname.
Parlando di modestia, ma quella vera, Le racconto un episodio: Ho avuto la grandissima fortuna e onore di conoscere uno dei più grandi artisti greci, Constantin Andreou. Con lui, mio padre aveva stretto una fortissima amicizia già dagli anni sessanta. Lui mi diede una grande lezione su cosa vuol dire essere un artista di altissimo livello (era considerato ai livelli di Picasso e Mondrian, nonché il realizzatore del moduler di Le Corbusier) e umile allo stesso tempo: Sedici anni fa, all’inaugurazione di una mostra di mio padre a Creta, lui fu invitato per presentarlo. Aveva 87 anni all’epoca. Scese dall’aereo sulla sedia a rotelle per venire poi alla mostra, controllare tutti i quadri, spostarli, fare un discorso all’inaugurazione da brividi e poi stare otto ore al giorno dentro la mostra per sostenere il lavoro artistico del suo amico senza oscurarlo, senza mettersi mai in mostra ma al servizio dell’arte. Senza citare poi i suoi racconti e altri preziosi consigli. Ecco, per me questi sono gli esempi da seguire. Senza alcun complesso di superiorità, senza la minima voglia di mettersi in mostra. Dare sempre lo spazio agli altri, creare sempre le condizioni che nessuno venga lasciato indietro. Ecco, per me questa è la vera rivoluzione.
Ha raggiunto, fino a questo momento, le sue aspirazioni?
La mia aspirazione più grande sarebbe quella di far crescere bene assieme alla mia compagna il nostro figlio. Detto così poi sembra che passa tutto in secondo piano ma invece non credo sia così. C’è molta strada da fare. Non posso dire che ho raggiunto qualcosa, se non quello di conoscere delle persone straordinarie anche attraverso l’arte. Bisogna migliorare in primis come persona, svuotare ancora di più il cervello, pensare meno e fare di più. Avere sempre salute e forza per creare nuove cose.
Vuole ringraziare qualcuno/a per il suo percorso artistico?
Senz’altro i miei genitori, mio fratello e mia sorella, che mi hanno sempre sostenuto in tutto quello che faccio. La mia compagna di vita Stella per avermi sempre dato ispirazione. Infine due persone in particolare: il mio maestro di karate e amico Maurizio Tegon e Giuliano Torrebruno, amico, appassionato di arte e storia greca. Entrambi mi hanno dato tutto quello che un vero amico ti da: fiducia.
Come si trova in Italia, anch’essa Patria di artisti che il mondo ci invidia?
L’Italia ormai è la mia casa. Prima, seconda, non ha poi importanza. Qui vive e cresce la mia famiglia e ci sentiamo accolti. Esalto e critico il vostro paese come faccio con il mio. Dopo vent’anni vedo tutt’uno. Da greco le devo tanto per aver conservato diffuso la mia cultura grazie al suo patrimonio artistico e culturale. Non saprei chi nominare per primo, dei giganti dell’arte italiana. Poi, avendo studiato e lavorato a Venezia, ho questa benedizione a visitare quella città che è un miracolo di per sé. Peccato che non va rispettata così come si deve. E non parlo di turisti.
Tornando alla domanda devo dire che mi trovo bene. Deve poi considerare che abito al Nord dove la mentalità è diversa rispetto all’Italia conosciuta all’estero e lo stesso vale per l’approccio umano. Una società chiusa ma sincera che bisogna darle del tempo finché ti accetti.
C’è sempre la nostalgia per la patria ma ormai le distanze si sono accorciate. Sento però che qui accade una transizione sociale. Mi fa ancora strano la sua frammentazione socio-culturale tra una Regione e l’altra, ma questa è una cosa che ha le radici lontane di secoli fa e non sarò io a dire qualcosa di più o di meno.
Progetti immediati e futuri?
Attualmente partecipo sempre alla mostra per i 1600 anni di Venezia, stavolta a Marcon (Venezia). Sto poi collaborando con una scrittrice di Creta per l’illustrazione di un saggio per adolescenti, che verrà pubblicato in Grecia. Ci sarà anche una collaborazione con un’altra scrittrice/poetessa su Dante.
Nel futuro vorrei proporre un cortometraggio. Non sono grande esperto nel campo, ma mi appassiona tantissimo. Spero sempre di far nascere un progetto video musicale con la mia compagna. Nel passato lei mi fece il tappeto musicale per qualche mio video e io le scenografie a più di uno dei suoi spettacoli. Non abbiamo ancora qualcosa di preciso ma la voglia c’è. Il problema di sempre è trovare il tempo per mettersi al lavoro.
Ah, quasi dimenticavo: oltre le Arie che canta sua moglie, lei che musica ascolta?
Ascolto tutto volentieri, basta che sia fatto bene. Prevalentemente elettronica. Da Jean Michel Jarre, Vangelis, Kraftwerk, Moroder, e tanti, tanti altri del passato fino a Prodigy, Massive Attack, Moby. Techno e Trance rimangono i miei amori da adolescente e poi il rock in tutte le sue sfaccettature. La musica greca poi ha una forte prevalenza con una preferenza per il rock. I gruppi di Trypes e Xylina Spathia ad essere grande fonte di ispirazione. Poi il genere greco Laiko e Rembetica (i blues greci) con le straordinarie voci di Kazantidis e Bithikotsis. Poi c’è Theodorakis e Hatzidakis che considero la massima espressione della poesia trasformata in musica.
Ogni interpretazione di una qualsiasi opera d’Arte ha una chiave di lettura soggettiva ed opinabile, come sottolinea lo stesso Michalis.
Per quanto mi concerne: l’artista evidenzia nei suoi lavori pittorici una forte ascendenza dalla nobile tradizione del fumetto. Il tratto, infatti, è veloce ma preciso, atto a cogliere i soggetti in momenti di viva espressività. Nello specifico, le opere monocromatiche mostrano un richiamo alla graphic novel asiatica, mentre invece quelle con più acceso e vivo cromatismo riportano alla memoria l’arte di Andrea Pazienza. Il tratto si fa più duro, con tagli più netti e geometrici, nei lavori materici. Qui il bulino viene adoperato per scavare la materia in forme concentriche, nelle quali un’apparente fluidità si raggruma poi in volti o profili ieratici, che paiono fratelli di quelli delle antiche maschere micenee. Si ravvede, in tal senso, un rimando ai motivi più classici dell’arte ellenica, quasi in una sorta di primitivismo greco antico, che chiaramente non è estraneo ai natali dell’autore.
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