Stamattina il nuovo governo Draghi ha effettuato il giuramento dinanzi a Sergio Mattarella. La squadra, composta da 23 ministri, è frutto di uno studiato compromesso per cercare di rendere stabile e duraturo il nuovo esecutivo.
Mario Draghi, 73 anni, è il nuovo presidente del consiglio dei ministri. Ha sciolto la riserva e ha accettato di formare il terzo governo della legislatura, dopo i due esecutivi guidati da Giuseppe Conte. Il giuramento della nuova e impensabile squadra è avvenuto alle 12 di oggi, sabato 13 febbraio, nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La lista dei ministri, letta da Draghi al termine del colloquio con l’anziano capo di Stato, conta 23 nomi, 15 uomini e 8 donne. Di questi, 15 sono politici, 9 tecnici. Il giusto compromesso per ottenere il “sì” del Movimento 5 Stelle, da sempre ostile al potere tecnocratico, che nel nuovo esecutivo si è visto affidare ben quattro ministeri. Il Partito Democratico, invece, conta tre ministri; Forza Italia e la Lega tre; Italia Viva, nonostante porti addosso il marchio del colpevole, e Liberi e Uguali, uno. Una curiosa miscela che vede i Ministeri equamente ripartiti tra centrodestra e centrosinistra, ammesso e non concesso che si possa ancora attuare una tale distinzione ideologica nel caleidoscopico mondo della politica italiana. In ogni caso, l’uomo che per oltre un quinquennio ha tenuto strette fra le mani le redini dell’Unione Europea, seduto alla dirigenza della BCE, è tornato trionfante in territorio nazionale e ha fin da subito esposto i punti principali del suo progetto: risanare l’economia italiana, risolvere la questione “scuola”, cercare di porre fine alla crisi sanitaria. Ambizioso, senza dubbio. Realizzabile, da vedere. Inoltre, ha esportato nella nostra penisola un nuovo ministero, quello della Transizione ecologica. Al suo capo, Roberto Cingolani, scelto durante la cosiddetta “fase 2” per far parte del Comitato di esperti in materia economica e sociale presieduto da Vittorio Colao. Ma chi sono gli altri ministri?
Maria Cristina Messa, già rettrice dell’università di Milano-Bicocca, nota europeista, ora Ministra dell’Università e della ricerca. Roberto Speranza, Ministro della Salute, ancora. Renato Brunetta, deputato alla Camera che ha votato “no” al taglio del numero dei parlamentari, in dissenso alla linea del suo partito, al ministero della Pubblica Amministrazione. Maria Stella Gelmini, capogruppo della Camera di Forza Italia, è la nuova ministra degli Affari regionali. Il vicesegretario del PD, Andrea Orlando, ostile alle trattative con Italia Viva, è oggi a capo del ministero del Lavoro. Mara Carfagna, tra i dirigenti di Forza Italia più critici con la Lega di Salvini, è ministra del Sud. Al ministero dell’Istruzione abbiamo Patrizio Bianchi. Il ministero dell’Interno, invece rimane a Luciana Lamorgese, nota per aver ammorbidito i cosiddetti “decreti sicurezza” di Salvini, che di sicurezza poco si occupavano. E ancora: alla Difesa c’è Lorenzo Guerini; alla Giustizia, Marta Cartabia; alla Cultura, Dario Franceschini; al Mise, Giancarlo Giorgetti. Il ministero degli Esteri porterà ancora il nome di Luigi Di Maio, a conferma della volontà del M5S di lavorare nel nome del Paese e non di un’ideologia, mentre quello dell’Economia è affidato a Daniele Franco. Alle Politiche agricole abbiamo Stefano Patuanelli, al Turismo Massimo Garavaglia; ai Trasporti Enrico Giovannini. Nuova ministra delle Politiche Giovanili è Fabiana Dadone, mentre alle Pari opportunità troviamo Elena Bonetti. Il ministero dei Rapporti con il Parlamento è affidato a Federico d’Incà; le Disabilità sono nelle mani di Erika Sefani; Innovazione tecnologica: Vittorio Colao. Come sottosegretario Draghi ha segnalato Roberto Garofoli, con il quale la lista si chiude.
I nomi nuovi si perdono tra l’elenco di personalità già di casa, per così dire. Cambia il ministero, certo, ma la persona resta la stessa, così come il suo orientamento politico e culturale. Eppure, fare previsioni sulle qualità di questo nuovo governo, sulle sue effettive capacità di cambiare ed risanare un Paese ad un passo dal collasso economico, politico e sociale, è un’azzardo per certi aspetti utopico. Giudicare l’agire a priori di questa mescolanza di posizioni tra loro tanto opposte da potersi annullare a vicenda, sarebbe del tutto sbagliato, soprattutto se si considera la personalità di Mario Draghi, mai impreparato. Lui, l’uomo che fa sempre ciò che dice, ma non dice sempre ciò che fa. L’europeista che, per non farsi cogliere di sorpresa da Mattarella, già a fine gennaio ha iniziato ad aprirsi al dialogo con Berlusconi, con Di Maio. Ha incontrato non poche volte Salvini, che si è mostrato molto abile e veloce nel passare dal più ferrato nazionalismo al populismo propagandistico da campagna elettorale; dalla pacifica convivenza coi M5S alla attuale collaborazione con Draghi, grazie al quale si è scoperto improvvisamente amante dell’Unione Europea. Sarà la volontà di agire per il bene degli italiani, o per la comodità della sua poltrona. Chissà.
Insomma, stratega o buon osservatore che sia, il nuovo Premier sembra avere ben chiara la linea che intende percorrere. Ora bisogna solo vedere se la sua squadra sarà effettivamente in grado di seguirlo, senza perdersi per strada.
Anna Maria Di Nunzio