La perdurante crisi economica , sempre in attesa di una vera ripresa , incide pesantemente sul settore libero professionale
Quando una situazione di crisi economica si prolunga, e nel nostro caso siamo arrivati ormai al settimo anno, tutti i settori di uno Stato ne risentono inevitabilmente.
Infatti, un’economia interna che ormai da sette anni non produce ricchezza blocca, a sua volta, ogni positiva diramazione professionale privata consentendo solo le attività basilari. Ovvero, quelle strettamente necessarie che il cittadino non può evitare o non sa fare: ad esempio l’assistenza fiscale, previdenziale, alcune visite mediche, il rinnovo della patente od infine la piccola manutenzione domestica.
In una situazione del genere il settore libero professionale soffre, anche più di altri, di fatto non viene più alimentato nella crescita e ciò determina la contrazione dell’offerta dei servizi rivolti ad imprese e cittadini, con questi che si canalizzano verso le entità più grandi ed organizzate. In pratica impedendo la nascita, così come lo sviluppo, di altre realtà professionali magari giovanili ed innovative.
Sembra che in Italia ogni aspetto e forma di attività di servizi sia ormai sovradimensionato. Troppi avvocati, medici, architetti, ragionieri, commercialisti, geometri e perfino ingegneri, sempre rispetto alle nostre sempre più scarse possibilità.
Si aggiunga poi il fatto che, da oltre venti anni, sono bloccati gli accessi a quasi tutti i posti nelle pubbliche Amministrazioni, anche a quelli deputati alla sicurezza ed all’emergenza collettiva. Inoltre, sono stati di molto elevati i limiti di età necessari per andare in pensione che prevedono quote anagrafiche, per il prossimo futuro, superiori al compimento dei 70 anni.
Tutto ciò contribuisce ad impedire, attualmente, l’avvio, “ la strada di un futuro dignitoso” a molti giovani pure dotati di eccellenti professionalità. Quindi, niente “pubblico” ma anche poco “privato” nel nostro panorama futuro di medio – breve periodo ed una contingenza quella in corso che costringe i giovani ad emigrare all’estero in cerca di possibili sbocchi professionali. O per meglio dire, di fortuna.
Si torna, in pratica, a periodi storici che credevamo destinati ormai ai libri di scuola con le nostre passate migrazioni che, solo nel periodo 1890/1910, portarono quasi 10 milioni di nostri connazionali a partire, in cerca di fortuna, soprattutto dirigendosi verso l’ America del nord e del sud.
L’Italia, in ragione di quell’esodo ebbe poi a soffrire delle gravi conseguenze sociali ed economiche, come di duratura lesione anagrafica, da quell’imponente fenomeno che privò il nostro paese di energie giovanili fondamentali.
Speriamo proprio non sia così e soprattutto che la storia non si debba ripetere.
Giorgio M. Palumbo