Fra la crisi dei rapporti con l’Unione Europea e la crescita lenta della nostra economia, il Governo cosa può fare?
Sono poco più di quattro mesi che l’Italia è guidata dal Governo Conte, premier, con Di Maio e Salvini, vice Presidenti del Consiglio dei ministri, rigorosamente in ordine alfabetico. Si tratta del’auto denominato “governo del cambiamento”, da altri definito “gialloverde” e spregiativamente definito populista, fra Trump, Orban e Bolsonaro, da qualche opposizione.
Ora, riguardo alla valutazione così controversa delle prime azioni dell’esecutivo in carica, occorre fare una serena riflessione sul passato, anche recente, del Paese che, da circa un decennio (ovvero, dall’ultimo Governo del “cavaliere”), persegue le sempre più restrittive formule di economia che la Commissione europea ci ha indicato: “prima di tutto la riduzione del debito” rapporto deficit/Pil. Dato che la proporzione esistente fra il “prodotto interno lordo” annualmente contabilizzato in Italia e la massa del passivo pregresso, il “deficit pubblico” raggiunge ben il 131% degli oltre mille miliardi prodotti annualmente.
Certo è un rapporto insostenibile per un equilibrio economico nazionale. Una situazione che nasce dai primi anni Settanta dello scorso secolo, dalla crisi petrolifera dell’autunno 1973 in poi, dai tanti sprechi ed investimenti pubblici inutili che si sono consolidati per almeno venti anni fino ai governi Ciampi e Dini della metà degli anni Novanta, i cui effetti finanziari ancora si scontano, pur con qualche importante risultanza positiva. Furono quelli gli “anni dorati” del vero “assistenzialismo di Stato” dove in cambio di consensi e voti la classe politica della “prima Repubblica” per potersi perpetuare al potere, spostando in avanti nel tempo il suo inevitabile crollo, costruì le famose “cattedrali nel deserto”: opere inutili e dannose, quali fabbriche faraoniche (la FIAT imposta a Termini Imerese, in Sicilia), dighe, ponti, viadotti, gallerie e strade mai completati o mal costruiti con calcestruzzo e cemento da verificare o altri materiali scadenti (con le tante situazioni autostradali critiche ereditate), oppure gli ultimi due grandi Centri siderurgici “distruttivi” di città, abitanti e territori circostanti.
Così nasce, in gran parte, l’odierno e immenso “debito pubblico” che nessuno degli ultimi dieci governi succedutisi alla guida dell’Italia, peraltro, ha saputo affrontare o neppure contenere nella sua inarrestabile progressione.
All’evidenza esistono degli automatismi micidiali ancora attivi, da neutralizzare. Facciamo governare gli “eletti” dal corpo elettorale con piena assunzione di responsabilità adottando una “ricetta nuova” e speriamo che funzioni, visto che tutte le altre…hanno fallito.
Giorgio M. Palumbo