L’Italia verso la legge di stabilità 2018 con i soliti problemi: vincoli europei agli investimenti, deficit, finanziamento clausole di  salvaguardia e.….

Entro la fine del mese di Settembre di ciascun anno, i Governi dei 27 Stati, attualmente aderenti all’Unione Europea, devono presentare alle rappresentanze politiche delle loro Camere parlamentari ed alle competenti istituzioni Europee, Commissione e Parlamento, gli strumenti normativi che regoleranno gli aspetti economico finanziari nazionali, nell’anno 2019, in raccordo necessario con gli impegni “comunitari”, per noi assai rigidi, sussistenti a legislazione invariata.

Quanto sopra è divenuto anche per i cittadini italiani un usuale, quanto temuto, appuntamento annuale dato che la “manovra economica” può essere sempre portatrice di nuovi oneri, ovvero tasse, necessari per “far quadrare i conti dello Stato”. Questi, da oltre un decennio, sono sempre più complessi e deficitari tali da non lasciare molte risorse disponibili alla crescita, infatti quasi nessuno spazio residua “per gli investimenti” che invece sarebbero essenziali per riaprire una fase economica di sviluppo smuovendo una situazione stagnante.

Pochi giorni fa, una delle istituzioni economiche più affidabili, l’OCSE, ha rilevato con il suo Osservatorio che, dati alla mano, per l’Italia si conferma una situazione di crescita economica modesta sia a chiusura dell’anno in corso che per tutto il successivo: siamo al 2% o poco più in un biennio, ovvero gli “ultimi della classe”.

Siamo come “un gatto che si morde la coda” non potendo utilizzare quelle risorse che servirebbe e sarebbero anche disponibili, per gli investimenti, dovendo prima, come sempre, risanare delle poste arretrate, poi mantenere le proporzioni consigliate tra deficit corrente e prodotto interno lordo annuale, oltre a finanziare la prescritta riduzione dell’enorme debito pubblico e impedire l’ulteriore aumento delle tassazioni. In particolare, di quella dell’imposta sul valore aggiunto, l’I.v.a., introito di spettanza europea, con una tassazione di beni e servizi che risulta già eccessiva nell’attuale misura del 22% preventivata fino al 25% del 2020/2021.

Una prospettiva assolutamente da dover scongiurare mediante il finanziamento, in bilancio, delle somme equivalenti a quel gettito e quindi delle cd “clausole di salvaguardia” (dall’aumento).

Un’ipotesi catastrofica perché avrebbe letteralmente distrutto l’economia interna del nostro Paese portandolo nuovamente a riduzioni di spesa e al temuto effetto deflattivo. Ma, per l’Italia, non è facile uscire da questo giro vizioso che continua a comportare un rallentamento dell’economia e a condurci verso dati di crescita marginali per l’Europa.

Occorrerebbe rovesciare il sistema, ovvero poter finanziare massicci investimenti cercando di aprire una fase economica duratura di sviluppo, comprese le opere pubbliche, magari con progetti straordinari, anche di manutenzione.

Insomma, nuovo e tanto lavoro! Ma, come si può fare? Se siamo “strangolati” dalle regole stringenti che tante volte abbiamo sottoscritto in Europa.

Siamo ad un bivio.

In questo quadro esiziale, il nostro, per Costituzione, è uno Stato regionale. Sono 15 le Regioni ordinarie, fra le quali la Campania, mentre altre cinque hanno Statuto di autonomia differenziata che prevede maggiori prerogative di governo locale. Fra queste, due, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, fruiscono di speciali caratteristiche di natura internazionale derivanti dalla II guerra mondiale da noi persa.

Anche le Regioni hanno vincoli a bilanci ed investimenti determinati dal “Patto di stabilità interno” tali da limitare in modo essenziale la loro operatività e lo Stato riduce continuamente i cd. “trasferimenti” economici, ovvero taglia le risorse rese disponibili anche in settori essenziali, quali la sanità pubblica, creando ulteriore effetto depressivo.

Un argomento da riprendere presto, per spiegare e magari proporre.

Giorgio M. Palumbo

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