Quando i numeri dell’economia non tornano
Sembra che la crisi economica italiana, con tutte le connesse conseguenze, continui ed infatti degli indicatori positivi di ripresa od almeno segnali di fiducia nel prossimo futuro ed in particolare per l’occupazione giovanile, non appaiono ancora rilevabili. Ai fattori di instabilità che sono avvertibili su scala mondiale si aggiunge una situazione di debolezza di tutte le economie occidentali in specie europee.
In questo quadro generale da definire stagnante, la posizione del nostro Paese è fra le più difficili in Europa poiché, ancora per l’anno in corso, le rilevazioni statistico economiche indicano la pericolosa decorrenza della deflazione ovvero della tendenza alla diminuzione dei prezzi al consumo. Si tratta del fenomeno contrario all’inflazione, comportante invece l’aumento dei prezzi, e ciò potrebbe sembrare un fatto positivo per il consumatore che risparmia nel fare la spesa ma così non è per l’economia generale di una nazione.
Infatti, se i produttori dei beni rinunciano ad una parte del guadagno pur di vendere, nel complesso l’indicatore economico complessivo non sale e con esso il Pil – Prodotto interno lordo e la mancata crescita nazionale porta ulteriori conseguenze negative, rallenta ogni sviluppo e risanamento e inoltre scombina i nostri conti da presentare all’Unione Europea.
Ancora una volta sui numeri non si può equivocare o tantomeno scherzare perché non derivano da fonti polemiche o dai pessimisti di natura o di professione. Infatti, le analisi negative con i numeri che andremo a sottolineare arrivano dalla “fonte diretta”costituita dall’Osservatorio dell’Inps sul precariato che conferma una tendenza negativa che da mesi si era notata nel vedere che le assunzioni “a tempo indeterminato” precipitano nei loro numeri assoluti.
Dunque, al 1 giugno 2016, cioè nei primi cinque mesi dell’anno il saldo tra assunzioni e cessazioni per i contratti a tempo indeterminato è risultato attivo per appena 82.000 unità. Ovvero, in decremento – crollo del 78% rispetto ai quasi 380.000 dell’analogo periodo del 2015. La possibilità reale di ricorrere agli incentivi fiscali per favorire le assunzioni al lavoro si azzera, scompare quasi del tutto, essendo il risultato automatico.
Inoltre, diminuiscono anche i contratti, a termine, stipulati nel settore privato. Nel mentre continuano a crescere solo i voucher, una forma di assunzione temporanea talmente precaria che non convince nessuno. In effetti, quel 43% in più di voucher da 10 euro utilizzati per ore lavoro non è una vittoria del governo ma, al contrario, solo la conferma di una sostanziale mancanza della politica di stabilizzazione del mercato, non solo per il lavoro ed a farne le spese sono soprattutto i giovani.
Giorgio M. Palumbo