Il cittadino spremuto come un limone
Siamo alle solite, i governi in Italia si susseguono ma milioni di automobilisti restano fiscalmente tartassati in modo diretto e indiretto: in varie forme, sia da parte dello Stato, delle Regioni, ancora dalle Provincie (ma, non erano state abolite? è rimasta infatti anche l’IPT – imposta provinciale di trascrizione – dovuta sulle immatricolazioni ed i successivi trasferimenti degli autoveicoli).
Anche il passato governo Renzi aveva in programma (alias: promesso) l’approvazione di una serie di misure necessarie per ridurre la molteplice, insopportabile ed anzi dannosa, tassazione incidente sul settore dell’auto nel nostro Paese.
Ormai sappiamo come sia andata a finire: anche questo governo non ha inciso positivamente sui pluriennali problemi che rendono sempre più costoso e difficile, per gli italiani, l’uso di un auto seppure di piccola o media cilindrata.
Torniamo ad occuparci del problema ricostruendo per i lettori l’assurda “piramide fiscale” che attraverso le sue molteplici forme impositive colpisce il settore automobilistico.
Si parte, come in tutti gli stati dell’Unione europea, dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (l’Iva) che da noi è dovuta nella superiore misura del 22% rispetto al 20 degli altri.
Quindi oltre un quinto del costo di un autoveicolo viene assoggettato al pagamento iniziale di un’imposta che grava sui privati acquirenti.
Nel nostro caso, comunque, si paga un 2% in più rispetto agli altri Paesi continentali (400 euro su 20.000 di prezzo) ed inoltre si aggiungono altre tasse dovute a favore di enti sub statali.
Infatti, diversamente da quasi tutte le altre nazioni europee, sui veicoli di nuova immatricolazione si deve aggiungere al prezzo del veicolo, prima della “messa su strada” un’altra imposta, quella provinciale di trascrizione (Ipt) dovuta in misura variabile (ma sempre molto consistente) rispetto alla potenza del mezzo acquistato ed indicata sul libretto di circolazione, più un contributo obbligatorio di euro 2.82 per lo smaltimento dei pneumatici dismessi.
La imposizione in questione consiste in una parte fissa pari ad euro: 196.05 da pagare per motori fino a 53 kw ed una variabile che, a seconda delle Provincie, deve esser corrisposta fra gli euro: 3.51 e gli euro: 4.56 per ciascun kw superiore ai 53. Ad esempio, un’auto di media potenza da 100 kw (equivalenti a 136 cavalli) sconta un’ulteriore pagamento che va dagli euro 165 circa agli oltre 214 (un altro 2% sul prezzo a nuovo).
Ovviamente, più cresce la potenza del veicolo acquistato ancor maggiore sarà l’incidenza dell’imposta di competenza di un’istituzione abrogata o perlomeno sostituita da altri enti territoriali e che prima era giustificata dalla manutenzione delle strade provinciali.
Ma ora? Non basta, perché ancor prima di uscire dalla concessionaria inizia a decorrere un’altra tassa, quella “di possesso” dovuta sull’autoveicolo, sempre in base alla potenza, i cui importi sono di competenza della Regione di residenza del proprietario: per una popolare Fiat 500, 1.3 mutijet diesel, si pagano 203 euro l’anno. Inoltre, nell’importo dell’assicurazione Rc auto, obbligatoria per poter circolare su strada, è compresa un’altra imposta statale.
Continueremo un’altra volta, ma la riflessione finale è molto semplice queste plurime e ingiustificate imposizioni cumulative hanno contribuito alla crisi del settore auto in Italia: non sarebbe il caso di intervenire abrogandone qualcuna.
Giorgio M. Palumbo