Quando si supera il primo semestre di ciascun anno e quindi ci si avvicina all’autunno (all’inizio del mese di ottobre infatti la manovra finanziaria, per il 2017, deve essere compiutamente definita), gli italiani iniziano, o continuano per meglio dire, a “sudare freddo” e non tanto per il clima torrido della stagione in corso ma per quanto ci può aspettare dopo le ferie, per la fine dell’anno in corso e per il nuovo.

Ci saranno altre tasse, riusciremo ad escludere la ricorrenza di manovre straordinarie, eviteremo le c.d. “misure di salvaguardia” che aumentano l’aliquota I.v.a. sui beni e peraltro scattano in automatico. Queste le domande e le paure più ricorrenti. Qualora accadesse ad esempio che le poste attive di bilancio non coprano tutte quelle passive, le entrate certe rispetto alle uscite, con gli interessi consolidati del “debito pubblico” in esse compresi.

Altre, sempre ricorrenti, paure dei cittadini sono poi legate alle entrate tributarie delle Regioni, sempre a caccia di soldi per finanziare le proprie inefficienze, oltre agli enti ed alle tassazioni locali, in specie sulla casa. A breve lo sapremo e dobbiamo forse solo sperare di farcela ancora una volta, di scamparla.

Dobbiamo parlare ora dei risparmi di “spesa pubblica” un versante che doveva rappresentare uno dei punti più qualificanti dell’azione di questo governo, come dei precedenti esecutivi, di fronte all’Europa dei rigidi custodi solo di criteri e parametri economici dei conti pubblici degli stati dell’Unione.

Cosa sia invece successo lo sappiamo: non solo è mancato il “colpo d’ala” che avrebbe finalmente segnato l’ingresso quasi trionfale del’Italia sulla scena dei paesi virtuosi, ma si è ulteriormente alzata la cifra complessiva dell’enorme “debito pubblico” come la sua incidenza percentuale rispetto al “prodotto interno lordo annuale”.

Peraltro, si è misteriosamente persa nell’anonimato anche un’altra promessa governativa. Parliamo della c.d. spendingreview, ovvero la riduzione ampiamente promessa della spesa pubblica inutile, alias degli sprechi, prevista su base pluriennale molto significativa.

Un obiettivo per tutti, arma conveniente solo se non si governa e si strilla, ma che diventa però pericoloso “doppio taglio” quando bisogna incidere davvero, magari in prossimità di scadenze elettorali, togliendo più di qualche privilegio. Non a caso sia il Presidente del Consiglio che il Ministro dell’Economia, Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, hanno da tempo dichiarato ufficialmente conclusa la fase di riordino dei conti e dei tagli relativi nei termini individuati dai precedenti Commissari alla riduzione della spesa pubblica sostenendo che la spesa pubblica è stata tagliata di 25 miliardi di euro ed è difficile poter andare oltre.

Questo nonostante la Commissione della U.E. abbia ribadito la necessità di procedere ancora sulla strada della riduzione della spesa. Anche per un’altra buona ragione: infatti, quei 25 mld si riferiscono a riduzioni lorde della spesa pubblica verificatesi nel periodo 2014-2016 ma che sono state utilizzate per finanziare incrementi di altre voci di spesa pubblica ed inoltre toccando più gli investimenti che riducendo la spesa corrente.

Quindi, se il salto di qualità al riguardo non è stato fatto nei momenti opportuni e infatti l’Italia non ne ha beneficiato,appare difficile che il nostro Governo mostri ora il coraggio necessario in una fase di stagnazione deflattiva e comunque instabile di politica e finanziaria. Vedremo.

Giorgio M. Palumbo

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