Una partecipazione che diventa sempre più difficile

Come sentiamo e vediamo sui mezzi d’informazione non passa giorno che non si aggiunga un nuovo contrasto all’elenco delle tante precedenti incomprensioni, una delusione che si somma alle altre del passato, un altro motivo di dissenso che viene a dividere una istituzione Europea già fin troppo disunita e soprattutto senza ideali comuni.

Se pensiamo alla grandezza spirituale del “Manifesto di Ventotene” scritto, nel corso del 1941, da Altiero Spinelli e dagli altri grandi democratici esiliati nella lontana isola, oppositori della dittatura di allora, per motivi politici, unanimemente ritenuto l’atto, il documento, alle origini dell’ideale di Europa unita, degli Stati uniti d’Europa, di un’entità sovranazionale garante di democrazia, pace e prosperità per tutti, senza più guerre, oggi non si può che rimanere allibiti e preoccupati.

Il governo comune, rappresentato dalle attuali istituzioni della U.E. che in sigla dovrebbe significare Unione Europea, cui fanno attuale parte 27 Stati, si occupa essenzialmente di questioni economico commerciali con regolamenti, direttive e decisioni che impegnano gli aderenti.

Tuttavia, l’Unione è divenuta sempre più, negli anni, una struttura burocratica, tecnocratica, che sembra essere più fine a se stessa, alle regole necessarie alla sua sopravvivenza strutturale di esecutivo incapace di azioni rapide, addirittura irreale rispetto ai fatti concreti. Comunque non orientato alla ricerca del bene comune, quello della collettività degli aderenti.

Sono diversi anni che l’Europa è dominata dagli altri paesi fondatori, Francia e Germania, con l’Italia co-fondatrice ma emarginata, su tutti, con il contorno di altri Stati, più piccoli, così detti “virtuosi”, perché in linea con i parametri economici che l’Unione impone. Mentre, noi restiamo sepolti, in primo luogo, sotto l’enorme mole del “debito pubblico” pregresso, pari al 133% dell’intero Pil prodotto in un anno finanziario.

Cui si aggiunge il non rispetto, negli anni trascorsi, da parte nostra, di diversi altri parametri economici che pure abbiamo dapprima contrattato e poi accettato, ma senza raggiungere i risultati, tanto da essere considerati Paese inadempiente alle regole comuni e dal governo inaffidabile. Siamo scivolati e divenuti marginali.

Ovviamente, tale situazione di nostra perdurante debolezza strutturale continua ad avvantaggiare i Paesi economicamente più solidi, in primo luogo la Germania con l’”avanzo primario”, e con essi le attività speculative di fondi ed investitori; e allora che fare?

Si può uscire dalla U.E.? no e per tanti motivi, anche costituzionali, ma occorre negoziare con capacità e durezza, abbiamo il diritto di veto sul bilancio e su altro, su ciascun provvedimento europeo. Insomma, “rompere le scatole” avendo però la capacità normativa e tecnica e per questo ci manca una classe di “euro burocrati” di funzionari preparati alla difficile battaglia, ove noi spesso siamo assenti.

E’ ora di cominciare.

Giorgio M. Palumbo

Commenti

commenti