Uno scandalo, un errore o una necessità?

Abbiamo più volte scritto in passato di quest’isola dell’Arcipelago campano, così bella, la più grande, consistente in ben sei comuni autonomi,  sovrastata da un Monte, l’Epomeo, che si eleva a quasi ottocento metri sul livello del mare. Un luogo splendido di vita e vacanza, pur con tanti problemi, fra i quali l’abusivismo edilizio che incide su costruzioni erette in area sismica.

Tanto che, nell’agosto dell’anno scorso, un evento sismico ha causato gravi danni e portato distruzione in alcuni dei comuni isolani.

Il Governo attuale ha adottato, a fine Settembre, un “decreto per le emergenze”, intervento impostosi dopo il disastro di Genova, con i 43 morti, le decine di feriti e gli oltre 600 sfollati dalle zone abitate sottostanti ai piloni del viadotto crollato del Polcevera, con un testo convertito dalla Camera dei deputati, con modifiche definite insufficienti, ora passato all’esame del Senato.

Nel provvedimento legislativo, parte è dedicata ai interventi per la ricostruzione edilizia da fare nei comuni dell’isola di Ischia colpiti dal terremoto dell’agosto del 2017.                                                    

Immediate e forti sono state le proteste provenienti da varie parti, politiche e ambientali, nazionali e locali, in primo luogo da parte del Governatore della Regione Campania, in proposito si è gridato allo scandalo, al “colpo di spugna”, all’annullamento della tutela ambientale.                                     

Cerchiamo di capire perché.

La parte più contestata è contenuta nell’articolo 25 del decreto.

La norma citata stabilisce in sintesi che i comuni indicati devono prendere una decisione definitiva sulle istanze di condono edilizio, ancora non risolte, relative agli immobili distrutti o gravemente danneggiati dal terremoto ma presentate ai sensi di tre leggi statali successive: del 1985, del 1994 e del 2003.                                      

Gli enti locali lo dovranno fare entro sei mesi, pena l’estinzione (da verificare) del procedimento di condono e per conseguenza della possibilità di poter avere indennizzi e contributi alla ricostruzione.                                                                                 

Infatti, nulla può spettare al proprietario nel caso di un bene immobile illecito e quello, pur parzialmente abusivo, non sanabile, con o senza condanna penale od ordine di demolizione, lo è. Quindi, qui ed altrove, che fare?

Il nodo è alla fine del primo comma: ove si legge che per tutte le richieste di sanatoria trovano esclusiva applicazione i criteri della legge n.47 del 1985, cioè il condono voluto dal governo Craxi. In pratica, anche per domande successive si applicano i criteri di oltre trent’anni fa, quando – come ha denunciato Legambiente – non esistevano ancora molte norme di tutela del territorio, del paesaggio, di contrasto del rischio sismico, vulcanico e idrogeologico.

In Commissione alla Camera il testo normativo è stato parzialmente modificato, con l’art.1.bis. Secondo il quale le domande di sanatoria sono: ”definite previo rilascio del parere favorevole da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico”.

Ma, si insiste da più parti, le modifiche non bastano ed il riferimento ai criteri del 1985 varato dopo l’entrata in vigore della nuova Legge urbanistica 28 febbraio 1985,n.47. Tuttavia, queste situazioni di sospensione, anche ultra trentennale, di pratiche amministrative in materia urbanistico edilizia esistono in tutta l’Italia e costituiscono un peso insopportabile per i Comuni, le Regioni e lo Stato.

Si deve predisporre, d’intesa fra i poteri; un “Piano straordinario decennale” con alti costi per le inevitabili demolizioni che saranno l’assoluta maggioranza dei casi. Oppure, “continuare a vivacchiare”, senza soluzioni.

Giorgio M. Palumbo

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