Possiamo almeno sperare in un futuro meno incerto per il nostro Paese

La diffusione degli ultimi indicatori economici generali e di quelli relativi ai dati occupazionali delineano un quadro complessivo pur sempre critico dove però, accanto alle tante ombre sussistenti, si affaccia qualche promettente luce. In particolare: a) giungono conferme, dalle prime rilevazioni bimestrali, sulla prospettiva di crescita annuale pari o superiore all’1%; b) scende il fabbisogno annuale complessivo per il mantenimento del settore pubblico statale (il costo della “macchina amministrativa”); c) scende, indice positivo, la elevata percentuale relativa alla “disoccupazione giovanile”, pur mantenendosi questa intorno al 40%.

La legislatura parlamentare in corso, come per tradizione iniziata fra grandi difficoltà politico istituzionali e senza una chiara maggioranza nel febbraio del 2013, si avvia alla sua naturale conclusione. Dopo quattro anni difficili ed anche se ancora resta il nodo della legge elettorale da riscrivere, un compito affidato dalla Corte Costituzionale e dal Presidente della Repubblica alle residue attività del Parlamento.

Si poteva fare di più nel quadriennio appena trascorso? Certamente si e molto meglio, ma la complessiva incapacità del nostro attuale ceto politico ha potuto consentire solo una stentata sopravvivenza del Paese. Da un lato, per nostra debolezza strutturale congenita, ancora avvolti come siamo, da circa otto anni, in una situazione di crisi economica di derivazione statunitense, dalla quale non riusciamo ad uscire. Dall’altro, per l’assoluta incapacità, nazionale ed europea, di creare possibilità lavorative dignitose sia per i giovani mai occupati che per i disoccupati di diversa età.

Sembra, a molti osservatori dei fatti economici, che venga “rubato il futuro” ad intere generazioni ed ancora una volta gli italiani hanno forte la sensazione che gli anni trascorsi siano passati inutilmente. Inoltre che la situazione strutturale del nostro Stato, nel frattempo, sia peggiorata negli aspetti economici e sociali.

Infatti, la disoccupazione giovanile raggiunge il 40% circa degli interessati, mentre nel complesso è calcolata al 12% ed al riguardo si coglie nei cittadini un sentimento diffuso di incertezza relativo ad ogni settore sociale, in specie per l’economia. Un sentimento forte di disillusione che, unitamente alla crescente sfiducia nei governanti, qualche volta rabbia, comunque genera la paura di molti per il futuro ed in particolare per la continuità dei servizi sociali essenziali.

Infatti, la popolazione italiana, così come la pubblica amministrazione in ogni livello ed articolazione, centrale o locale, invecchia progressivamente ed il sistema previdenziale non è sufficientemente alimentato da contribuzioni tali da poter sostenere il meccanismo di protezione sociale, per molti anni ancora. Risulta pienamente evidente il distacco sociale dei partiti politici attuali rispetto ai problemi concreti dei cittadini.

Inoltre, nel preoccupante quadro fornitoci dall’attualità continuano ad innestarsi i problemi strutturali causati dalla nostra deficitaria partecipazione all’Unione Europea. Rispetto alla quale abbiamo assunto onerosi impegni di sana gestione dei conti della cosa pubblica che peraltro si dubita potremo rispettare.
Con la revisione costituzionale del 2012 l’Italia ha inserito nella Carta primaria dello Stato, modificando il testo degli articoli 81, 97, 118 e 119, l’obbligo di ogni Pubblica amministrazione al “pareggio di bilancio” ed al prevalente recupero del deficit consolidato.

In termini, sancendo gli effetti del “patto di stabilità” impostoci dall’Europa da conseguire poi con il meccanismo del c.d. “fiscal compact”. Ovvero, il rientro dell’enorme debito pubblico pregresso mediante il taglio, per i prossimi venti anni, di almeno cinquanta miliardi di euro l’anno.

Nessuno crede che tale obbligo, decorrente dopo diverse proroghe dal gennaio del prossimo 2018, possa davvero essere rispettato dal nostro Paese. Tuttavia, cosa potrà accadere nessuno lo sa con certezza. Possiamo solo sperare.

Giorgio M. Palumbo

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