Sempre meglio della stagnazione o della deflazione
Gli organismi tecnici della Commissione dell’Unione Europea hanno reso note le recenti stime sulle prospettive di crescita economica dei diversi Stati aderenti per gli anni 2017/2018 e fra questi l’Italia.
Sulla base degli indicatori, delle valutazioni e secondo le richiamate previsioni di stima il nostro Paese potrebbe avere, al massimo della banda di oscillazione (range), una crescita del Pil Prodotto interno lordo pari all’1% per entrambi gli anni considerati: quello in corso ed il prossimo.
Laddove i sopra rammentati dati previsionali si dimostrassero poi confermati, a consuntivo, il nostro Paese risulterebbe comunque il “fanalino di coda” fra tutti quelli oggetto di previsioni dell’ambito U.E.
L’Italia non riesce più a ripartire dai tempi della crisi economica originatasi negli Stati Uniti nel 2007 e che, per noi, ebbe concreto inizio nell’autunno del 2009. Forse perché la nostra economia era da diversi anni precedenti già fra quelle strutturalmente più deboli del vecchio Continente. Inoltre, sicuramente per l’assenza concomitante di efficaci politiche di aiuto all’espansione da parte dei tanti governi succedutisi nei decenni trascorsi. Esecutivi che hanno preferito, di fronte alle difficoltà, piuttosto innalzare i livelli delle varie tassazioni portandoli fino a limiti divenuti non sostenibili dal sistema Paese.
Il problema principale che resta di essenziale risoluzione è quello di poter dare un dignitoso lavoro ai tanti italiani, giovani e meno, che inutilmente lo cercano da anni. Nel tempo, in Italia, la crisi economica ha travolto imprese di ogni settore produttivo, portato alla chiusura di fabbriche, stabilimenti ed imprese quasi estinto il settore dell’artigianato e pesantemente inciso sull’agricoltura.
Niente e nessuno si sono salvati. Infatti, la crisi economica ha profondamente colpito tutte le attività libero professionali e creato un “popolo delle partite Iva” senza un futuro previdenziale dignitoso.
Nel nostro Paese si assiste ad uno scenario che vede tanti protagonisti sociali ridotti alla pratica sussistenza ed affidati allo svolgimento di lavori precari. Tale situazione inoltre appare molto preoccupante per le ricadute complessive che inevitabilmente avrà per il quadro sociale complessivo della nazione.
Infatti, l’aumento esponenziale del numero dei cittadini bisognosi o comunque privi di sufficiente capacità reddituale e di trattamento previdenziale comporterà, per lo Stato, un notevole aumento di spesa per la sanità pubblica, l’assistenza sociale ed i contributi da erogare alle famiglie ed ai soggetti bisognosi.
Speriamo vivamente che questo cupo futuro ci venga risparmiato.
Giorgio M. Palumbo