In attesa delle risposte di Diana mi sono riletto un interessantissimo (Docu) libro, del 1990, di John O’ Shea: Musica E Medicina -Profili medici di grandi compositori- dove si parla delle sofferenze e i disturbi che li hanno colpiti, e quale relazione tra le patologie ed il loro talento.
Sulla quarta di copertina, infatti, si legge: Fino a che punto l’arte può essere influenzata dalle condizioni di salute dell’artista? La sordità di Beethoven, la malattia mentale di Schumann, l’afasia di Ravel, che peso hanno avuto sulla attività?
Pertanto stavo cercando una correlazione tra il sottoscritto ed alcuni di questi fuoriclasse del pentagramma.
E, soprattutto, cercavo di comprendere quale invisibile fil rouge mi lega al padre del Romanticismo Musicale: Robert Schumann.
Ovviamente la domanda non ha trovato risposta.
Fortunatamente mi arrivano le risposte della splendida Soprano che mi distolgono dal groviglio delle possibili soluzioni.
Vi riporto quanto ci siamo detto.
Tu nasci nel Paese di Fidel, il leader maximo: da quanto tempo vi siete trasferiti a Mantova?
Mi sono trasferita io da sola quasi 5 anni fa, tutta la mia famiglia è rimasta a Cuba. È stata una scelta difficile non solo per il fatto di lasciare i miei ma anche perché vengo da un paese che è quasi di un altro tempo, un altro sistema, un’altra forma di vedere la vita. Ho fatto questa scelta per il canto ed eccomi qua, ho sposato un italiano e sono ancora piena di sogni.
Come nasce questa passione per il canto lirico?
La mia passione per il canto è nata da piccola: sono nata e cresciuta in una famiglia completamente musicale; il mio nonno era un baritono del Teatro Lirico di Cuba, la mia nonna cantava da giovane i Tangos Argentinos e le Zarzuele spagnole, il mio papà cantava e suonava la chitarra avendola imparata da solo per cui sono nata in mezzo alla musica. Non avrei mai immaginato però che da questo amore per la musica sarebbe nata la mia professione e tanto meno il canto lirico, visto che da bambina cantavo solo musica leggera. Ricordo però un momento speciale e che mi è sempre rimasto impresso: avevo 11 anni e mi portarono a Teatro a vedere l’Opera; era la prima volta che andavo a vederne una, facevano Pagliacci di Leoncavallo, ricordo di aver capito poco della storia ma non dimenticherò mai il finale quando Canio dice: “La commedia è finita” e da lì parte una musica da pelle d’oca, in quel momento ho iniziato a piangere e ho provato una emozione che ancora oggi mi ricordo della sua intensità. Poi gli anni passarono e a 16 anni iniziai a studiare canto lirico nella prima scuola di canto lirico che si creava all’Avana in una convenzione con il Teatro Lirico di Cuba e il Conservatorio Amadeo Roldan. È stato amore a prima vista; ricordo che nel mio primo anno trovai un vecchio Cd che non avevo mai ascoltato e che avevo in casa da sempre, tutto su Puccini, cantavo insieme alla Tebaldi, Freni, Callas senza rendermi conto di cosa facevo, era da matti lo so, ma era anche magico.
Per un periodo di tempo hai studiato al Conservatorio Amadeo Roldàn a L’Avana poi, una volta in Italia, al Lucio Campiani di Mantova. Hai trovato differenze nell’insegnamento?
Sì, ho trovato un po’ di differenze, poi devo dire che una volta arrivata in Italia la mia formazione era già stata impostata dal mio maestro a Cuba, Adolfo Casas.
Ho fatto in Conservatorio a Mantova il biennio di specializzazione e se devo essere completamente sincera mi aspettavo un livello molto più alto rispetto al canto lirico, non per l’incapacità dei professori ma per com’è strutturato il piano di studio e questo secondo me è un fattore primario nell’educazione di un musicista o cantante. Si lasciano troppe cose in sospeso e questo influisce anche nei professori, che rimangono molto vaghi in tanti aspetti tecnici e culturali, utili per la formazione di un artista. Da un certo punto di vista è stata una soddisfazione rendermi conto che anche a Cuba nel canto lirico abbiamo un altissimo livello di formazione.
Tutto questo senza parlare delle differenze economiche, visto che a Cuba l’educazione è completamente gratuita a tutti i livelli, ma questo è un altro discorso.
La Leyenda Del Beso, una Zarzuela in tre atti di Reveriano Sotullo e Juan Vert su Libretto di Enrique Reoyo è stato il tuo debutto?
Non so se si può chiamare debutto, visto che ho fatto solo il personaggio comico della Zarzuela, avevo un solo duetto comico e due scene parlate abbastanza lunghette. Diciamo che il mio vero debutto è stato quando ho fatto Pamina, ruolo con cui mi sono anche diplomata in Conservatorio.
Qual era il tuo ruolo?
Il personaggio si chiamava “Simeona”, era una ragazzina molto furba alla quale piaceva il suo padrone anche se era già fidanzata…jejeje.
Quali invece le tue emozioni?
Ricordo che è stata la prima volta che ho calcato il palcoscenico del Gran Teatro dell’Avana, dove hanno cantato persino Enrico Caruso e Renata Tebaldi, ed era anche la prima volta che cantavo con una orchestra; prima di iniziare ero nervosissima ma quando sono uscita sul palco ero così tranquilla che era come se avessi vissuto sempre lì, come se fosse la mia casa.
Siamo nel 2006. L’anno dopo sei Catalina ne: La Rosa Del Azafrán. In quale teatro ti sei esibita?
Sempre al Gran Teatro dell’Avana Alicia Alonso, che è il teatro sede del Teatro Lirico di Cuba.
Nello stesso anno sei Giannetta in Elisir D’Amore di Gaetano Donizetti. Come ti sei preparata per il ruolo?
Ero al secondo anno del Conservatorio, non avevo mai affrontato un ruolo in italiano e nemmeno un’Opera completa, è stato difficile visto che all’inizio studiavo solo col pianoforte, non avevo registrazioni, nota per nota e con fatica perché avevo fatto solo un anno di solfeggio; non dimenticherò mai la prima prova che facemmo con il direttore d’orchestra ed io non ero molto preparata, lui vedendo la mia imprecisione mi ha detto: “O lo fai bene questo ruolo oppure non lo fai”. Da lì ho capito che in questo mondo ci sono poche possibilità e bisogna coglierle e affrontarle come si deve, ho fatto la Giannetta e la ricordo come la mia prima piccola sfida.
Nel duemilanove sei Fiordiligi in Così Fan Tutte, di Mozart; mentre l’anno precedente sei ferma. Come mai?
Era il mio terzo anno della scuola se ricordo bene, non ricordo nessun motivo in particolare, forse ero impegnata con gli esami, jejeje!
Tra i tuoi tanti titoli figura quello in Corso di Lingua e Cultura italiana. Perché proprio il nostro idioma?
L’Italia è sempre stato un paese che mi affascinava tantissimo per la sua cultura e la sua Storia; poi ho iniziato a studiare il canto lirico e sono entrata in questo mondo italiano che volevo capire e trasmettere, per quello ho deciso di fare il corso di lingua e cultura italiana alla Società Dante Alighieri e grazie a quello quando sono arrivata in Italia non mi sono sentita cosi straniera, mi sono sentita come a casa.
Veniamo ai nostri giorni. Sei vincitrice del Premio speciale come Miglior Voce Femminile nella 56° edizione del Concorso Internazionale Voci Verdiane Città di Busseto 2018. Mi racconti questa giornata?
Una giornata pazzesca, quasi inverosimile ma soprattutto molto carica di emozioni, cantare alla Villa di Verdi, respirare l’aria che ha respirato lui tanti anni fa mi riempiva di una allegria e di una grande soddisfazione ancora prima di saper che avrei vinto il Premio. È stato un bellissimo traguardo già essere arrivata in Finale, poi ho sentito il mio nome e il mio cuore si è fermato, ho pensato alla mia nonnina e al suo sguardo se fosse stata lì con me.
Una consacrazione e, al contempo, un punto di partenza, uno sprone per il perfezionamento…
Spero tanto di sì, è sicuramente un punto di ripartenza, chi sa quante volte sono partita e tornata e poi ripartita ancora, non bisogna mai fermarsi, come diciamo noi cubani: guardarsi indietro? Neanche per prendere l’impulso!
Vuoi dedicare questo prestigioso riconoscimento a qualcuno in particolare?
Mi viene in mente il mio papà che è l’unica persona che non è mai riuscita a vedermi cantare lirico, è morto quando avevo 13 anni, penso sempre a lui che mi guarda e mi guida, ovunque io sia. Si lo voglio dedicare a lui.
Il nativo di Le Roncole definiva, i premi tempi della sua alterna carriera: gli anni di galera. Ovviamente la passione rendo tutto più leggero, ma quali e quanti sacrifici affronti per veder riconosciuto il tuo talento? Quanto tempo, ogni giorno, dedichi all’esercizio vocale?
Il primo sacrificio è sicuramente essere lontana dai miei e dalla mia terra per riuscire ad aprirmi una strada, che so che è molto difficoltosa. Poi se vuoi essere un artista devi dedicarti senza alcun limite a superare i tuoi propri limiti, sembra un gioco di parole ma è cosi, mi sono resa conto negli ultimi quattro anni che a volte siamo noi stessi l’ostacolo e che a volte è necessario sacrificare comodità, sogno, feste, per ottenere dei veri risultati. Riguardo al tempo che dedico al canto dipende molto dagli eventi canori che abbia programmato ma mi impegno a studiare almeno un’oretta al giorno.
Il Mago, come la Strepponi chiamava il suo Verdi, era maniacalmente ma a giusta ragione un perfezionista e prima di comporre le sue Opere accusava mal di gola e crampi allo stomaco. Tu come ti prepari per le tue esecuzioni? Avverti una tensione speciale prima di entrare in scena?
Ho scoperto da poco che la meditazione e concentrarsi sul respiro ti aiuta molto ad avere un controllo della tua mente e del tuo corpo, cosa che un cantante lirico deve avere per forza. Faccio tanti esercizi di respirazione e anche di stiramento dei muscoli. Poi i nervi ci sono sempre ma secondo me è anche sano averli prima di iniziare, il mio cuore batte un po’ di più prima di iniziare e le mani mi sudano.
Il Cigno di Busseto, per ciò che concerne i suoi capolavori ma orso e scorbutico nella vita privata, odiava quasi il suo paese natio. Tu ritorni spesso nella tua città? È stato un dispiacere lasciarla?
Appena posso ci ritorno, mi manca la gente, come parlano, come ballano. Mi manca tanto il mare. È stato un dispiacere lasciarla soprattutto perché lasciavo i miei e ancora oggi vorrei tanto essere insieme a loro, forse in futuro.
Facciamo un passo indietro. Nel 2014 debutti nell’opera contemporanea per bambini: “Settestella” del Maestro Azio Corghi, compositore italiano vincitore di numerosi concorsi internazionali, e con la messa in scena di Dario Moretti e la sua compagnia teatrale: Teatro all’Improvviso. Di cosa si tratta precisamente?
È un’opera lirica per bambini. È stata scritta per solo voce e percussioni. Praticamente io interpreto non solo la protagonista, che è una stella di sette punte, ma anche tutti i personaggi che lei incontra (in questo caso sono tutti animali) e il narratore. È stata una grande sfida visto che dovevo anche recitare in italiano. Parla della storia di una stella di sette punte che non avendo un nome e volendo essere riconosciuta tra le tante stelle uguali a lei, decide di buttarsi sulla terra per sentirsi apprezzata, solo che quando cade perde tutte le punte e nessuno degli animali la riconosce come una stella ma pensano che sia un sasso; la stella disperata chiede a ognuno degli animali che incontra una punta e ognuno le dà una parte di loro, la pinna del pesce, il baffo della volpe, ecc… fino a che il bastone si dà tutto se stesso e così illumina ogni punta e lei diventa Settestella. Una bellissima storia che parla di solidarietà e di accettazione verso gli altri e con sé stesso.
Nel 2009, vinci la nona edizione del Contest Mariana De Gonitch, diva di San Pietroburgo, tenutosi a Cuba. Poi ti classifichi seconda nel concorso Ernesto Lecuona, del quale, tra le infinite sue composizioni, ricordiamo anche noi italiani la celebre Maria La O. Cosa si prova, considerato che anche tu l’hai interpretata, ad essere la Voce che esporta la musica cubana in tutto il mondo?
Prima di tutto ci sono tante cantanti cubane liriche che portano la nostra musica per il mondo, nel mio caso penso al momento in cui ho cantato Lecuona al Teatro Bibiena a Mantova, lo stesso teatro in cui ha suonato Mozart. In quel momento mi sono resa conto che è una grande responsabilità portare la nostra musica ma anche è di un grande orgoglio per me. Al Conservatorio ho fatto la mia tesi sulla Zarzuela cubana proprio perché volevo far conoscere un repertorio che è quasi sconosciuto agli italiani e il risultato è che è stata molto apprezzata dalla commissione. Spero tanto di aver ancora l’opportunità di far conoscere e di far sentire la nostra musica, che alla fine non è così lontana dalla vostra.
Il Maestro Verdi, scontroso al limite del sopportabile, dichiarava spesso: il pubblico non mi piace, nemmeno quando mi applaude. Trovi differenza tra quello cubano, o di altre nazioni, ed il pubblico italiano? Quali i più… esigenti?
Forse quello italiano è più esigente ma anche più controllato sull’emozioni. C’è però una contraddizione: da noi non fischierebbero mai in teatro per una regia sbagliata o per una nota spezzata, invece so che da voi si fa tranquillamente e questo non mi piace.
Il tuo repertorio è molto vasto, ma c’è qualche Aria che, più di tutte, ti piace portare in scena?
Io sono Pucciniana, un’aria che faccio spesso è Ch’il bel sogno di Doretta della Rondine, ma se dovessi scegliere la mia preferita è Un bel dì vedremo, peccato che per adesso non posso farla, jejeje
Progetti futuri?
Fare ancora dei concorsi perché sono sempre una vetrina per farti conoscere e per l’età li devo fare adesso. Continuare a studiare e a superare i miei limiti. Ho un progetto con un pianista per portare la musica lirica cubana agli italiani e ci tengo tanto. Dopo il concorso di Voci Verdiane forse qualche porta si è aperta ma non vorrei anticipare niente.
C’è qualcuno/a che vuoi ringraziare?
Ci sono tante persone che vorrei ringraziare: mia mamma, mia nonna, mio marito Manuel e anche i suoi genitori perché sono sempre state nei momenti più importanti, a volte da lontano, a volte da vicino ma ci sono sempre state. Poi volevo ringraziare la mia maestra Lucia Mazzaria, che ha sempre creduto in me, che mi ha sempre incoraggiato e stimolato a non mollare mai. Grazie!
Ringrazio Diana per la sua disponibilità e gentilezza.
Un doveroso ringraziamento, inoltre, lo devo a Lucia Mazzaria, grazie alla quale si è potuta sviluppare questa piacevole conversazione.
Wow. Finalmente ho potuto dare una risposta al quesito che tanto mi ha arroventato le sinapsi, ed ho compreso qual è l’invisibile legame tra me e Robert.
Lui aveva dei disturbi mentali, ma era un genio.
A me, invece, delle due componenti ne manca una.
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