Al bar dello sport. In questa breve rubrica, Andrea Carpentieri – tifoso per mestiere, latinista per formazione, intellettuale secondo voci prive di fondamento, discuterà essenzialmente di calcio, non mancando di toccare altri temi che possano stimolarne la curiosità, con la speranza che ciò accada anche in chi avrà la ventura di leggerlo. Il tutto, sempre con leggerezza e cercando di non prendersi troppo sul serio: chiacchierando un po’ così, come si chiacchiera, appunto, al Bar dello sport.
A volte basta una parola, una sola, per esprimere stati d’animo, per riassumere eventi, per fare progetti: credo non ci sia, oggi, tifoso del Napoli per il quale pensare alla squadra del presidente di Confindustria non significhi scatenare tutto un magma di pensieri, idee, sensazioni.
Il Sassuolo, in primo luogo, ha messo domenica il Napoli in condizione di tornare – è la seconda volta che accade, in questa stagione – in cima alla classifica: battendo l’Inter a San Siro nella partita delle 12.30, infatti, gli uomini di Di Francesco hanno lasciato gli azzurri a -1 in graduatoria, con la possibilità di scavalcare i ragazzi di Mancini in caso di vittoria a Frosinone.
Così è stato: al Matusa è stata “manita”, la quinta da settembre, in Ciociaria è stato sorpasso.
Il Sassuolo, però, è anche la prossima avversaria con cui dovrà vedersela, sabato sera al San Paolo, la banda di Sarri, e la sfida sarà tutt’altro che semplice. Proprio al Mapei Stadium, lo si ricorderà, il Napoli ha subito una delle due sconfitte stagionali: certo, si era all’inizio, il tecnico nato a Bagnoli doveva ancora rendersi conto che i suoi uomini avrebbero reso al meglio giocando con un (apparente, ma magari ne riparliamo) 4-3-3, in campo non c’era Allan, gli azzurri avevano ancora, con ogni probabilità, le gambe imballate…
Tutto vero, certo, ma è altrettanto vero che il Sassuolo ha poi confermato, nell’arco dell’intero girone d’andata, di essere squadra vivace, brillante, dotata di una sua precisa identità di gioco. Battere i neroverdi, soprattutto dopo la loro vittoria – per nulla casuale, pienamente meritata – a Milano, equivarrebbe a lanciare alle rivali un importante segnale di conferma della forza del Napoli: forza tecnica, tattica, anche atletica ma, in particolar modo, forza mentale.
E già, perché che il Napoli sia forte, ormai lo sanno tutti. Domenica a Frosinone se ne è avuta l’ennesima dimostrazione: senza nessuna difficoltà si è liquidata una squadra che, sul proprio campo, ha imparato a farsi rispettare anche in serie A. Gli azzurri non hanno mai sofferto, hanno gestito possesso palla e controllo mentale del match in maniera perfetta; siamo tornati a vedere un pressing altissimo, un recupero palla a trequarti campo, movimenti continui senza palla che consentono, a chi porti la stessa, di avere sempre (almeno) due linee di passaggio aperte…e poi c’è Higuain, e poi c’è il capitano, e poi Callejon…
Del Napoli, insomma, si potrebbero sottolineare tanti (solo?) aspetti positivi: per quanto mi riguarda, però, ne vorrei evidenziare due in particolare.
Il primo consiste in quella fame di successo, di goal, io direi “fame di pallone” che anima i ragazzi di Sarri dal primo al novantesimo. Il pressing non si ferma mai, in nessuna condizione o situazione di punteggio, come dimostra l’azione del goal di Gabbiadini: sul 4-0, Callejon pressa un difensore frusinate fino a fargli perdere la sfera, che finisce al 23 azzurro…il che significa, quasi automaticamente, in un angolo della porta avversaria, alto o basso che sia.
Il secondo dato che voglio qui evidenziare, dato che vado osservando da tempo, riguarda essenzialmente la qualità delle giocate azzurre: su circa 60 reti messe a segno in stagione, credo che al massimo 7 o 8 non siano state reti belle, spettacolari. Il Napoli, insomma, non sa segnare goal brutti o sporchi, e questo ne sottolinea ulteriormente, a mio parere, la qualità tecnica intrinseca (che si tramuta poi in pregevolezza di giocate).
Poco sopra si parlava di forza mentale che ora gli azzurri dovranno mostrare di avere: ora che sono lepri, ora che giocheranno senza sapere cosa abbiano fatto gli altri, ora che sono padroni del proprio destino e che quindi, vincendo, potranno essere sicuri di restare primi…Ecco, è ora che Higuain e compagni dovranno dimostrare di non avere il braccino che trema, le gambe che vacillano, il fiato che viene meno se e quando il traguardo pare avvicinarsi.
Quanto alle avversarie, la più temibile, perché la più attrezzata, rimane la Juventus: 9 vittorie di fila non possono essere casuali, soprattutto se a riportarle è la squadra che da 4 anni stritola il campionato con presa d’acciaio.
Battere la corazzata bianconera sarà difficilissimo, e con ogni probabilità lo sarà ancora di più se il presidente De Laurentiis non completerà la rosa con (almeno) due acquisti di spessore, senza contare che potrebbe anche darsi che si debbano fronteggiare avversari più subdoli: il riferimento, purtroppo, va a quelle valutazioni arbitrali di cui tanto volentieri chi scrive farebbe a meno di parlare.
A Genova, contro la Samp, la Juventus ha vinto con merito, perché è stata superiore all’avversario: eppure, sul 2-0 per i bianconeri, Mazzoleni – ai più noto, dalle mie parti, col raggelante ed eloquente appellativo di ‘O Pechinese – ne ha combinata una delle sue.
Il giovane difensore Rugani, infatti, ha platealmente atterrato a pochi metri dalla porta il doriano Ivan, con un intervento che, da regolamento, avrebbe dovuto comportare calcio di rigore e cartellino rosso: ciò non significa che la Samp poi avrebbe pareggiato, magari la Juventus ne avrebbe segnati altri 8, di goal, ma il punto non è questo. Il punto è che chi scrive teme che, al (ri)presentarsi di un momento di difficoltà, i campioni d’Italia potrebbero (ri)trovarsi a beneficiare di un aiuto prezioso, e sarebbe davvero un peccato perché in tal modo si rischierebbe di rovinare il campionato di serie A più equilibrato, più interessante e più bello degli ultimi 15 anni.
Non ho mai parlato della Juventus nei termini in cui di solito se ne parla nella mia città, e non sono per nulla ossessionato dalla rivalità con la squadra degli Agnelli: semplicemente, mi limito a registrare un episodio che, per tempistica e protagonisti, mi induce a paventare un qualcosa che davvero mi auguro non si ripeta, ma su cui non penso si possa stendere il velo di silenzio per il quale hanno fondamentalmente optato domenica sera Sky e Mediaset.
Il mio auspicio, insomma, è che d’ora in avanti ci siano più arbitraggi alla Di Bello – il quale non ha esitato a fischiare un penalty dubbio a favore del Toro contro il Napoli, benché si giocasse al San Paolo, davanti a 50000 persone – che direzioni di gara alla Mazzoleni, l’arbitro filosofo, quello che, al cospetto delle maglie a strisce, diventa un convinto seguace di Nietzsche e si sforza di dimostrare che <<non esistono i fatti, esistono solo le interpretazioni>>. E no, Mazzole’, il rigore è rigore, pure se è per la Samp…
Andrea Carpentieri