Carissimo Antonio, so che stai pensando: “Che mi scrivi a fare quello che già so?”
Ti scrivo, in primo luogo, perché ci sono cose che non sai, e poi perché non sono riuscito a dirtele prima; ma non voglio farti perdere tempo in questo tuo viaggio verso l’Infinito: magari leggerai con calma.
Ricordo molto bene quando tutte le mattine passavi davanti alla libreria per andare al Liceo. Già allora eri un giovane dall’evidente carisma; sempre vestito come un modello e con un portamento fiero.
Più di qualcuno, in verità erano più le qualcuna, sapendo che ti conoscevo, mi chiedeva di te. Non ti posso nascondere ormai che, per mio orgoglio riflesso, ero pronto nella risposta: il figlio di mio cugino Mimmo.
Tu, già allora, mi davi l’impressione di essere stato catapultato su questa Terra per svolgere un compito ben preciso. E, perdonami lo sproposito, mi davi pure il sentore che non appartenessi, più di tanto, a questo mondo. Ma non mi chiedere il perché di questa sensazione giacché la risposta non la so.
Poi sei cambiato, ma solo nel look, ma il messaggio è stato sempre chiaro ed evidente: un uomo non è altro se non il suo Essere.
Poi sei cresciuto. Le nostre strade si sono allontanate; ma ogni volta che ti incontravo e si dialogava, eri, per me, una magia di suoni. Tutto ciò che dicevi era musica.
Posso dire di essere stato fortunato in quanto i dibattiti tra noi non sono mancati. Sicuramente sono stati troppo pochi. Mi auguro, adesso, che tu abbia apprezzato le mie disquisizioni: e credo sia così perché non disdegnavi il confronto.
Poi sei andato via trasferendoti in quel di Ferrara, città definita il Salotto D’Europa, dove anch’io sono stato due volte, e per questo ti ho pure invidiato.
Non credere, ma tu lo sai, che non abbia seguito il tuo percorso esistenziale perché tuo padre mi ha sempre ragguagliato sul tuo essere in divenire, sotto l’aspetto lavorativo, e anche su qualcos’altro. Conosco i tuoi sacrifici e so pure quanto hai dovuto lottare per arrivare ai traguardi, tutti raggiunti peraltro.
Ma per te, maestro di Arti Marziali e fine conoscitore delle antiche filosofie, il vivere quotidiano e le sue sfide, sono state motivo di esaltazione.
Per tuo padre (che tra acciacchi vari si è fatto pure anzianotto, ma guai a farglielo sentire sennò ci ritroviamo con una bella prognosi riservata) sei stato sempre motivo di fierezza e di vanto. Un affetto smisurato che nutre anche per Rossella e Daniela, e ci mancherebbe: ma tu sei stato e sei speciale; lo si è capito subito. La tua sapienza è pari solo ai grandi pensatori nella storia dell’umanità.
Tu non sai, inoltre, che in comune, per tuo padre, abbiamo un sottile ma ben visibile legame che ci unisce. Entrambi siamo stati eletti come i Due Stronzi del secolo. Io sarei il maggiore, per età, ma tu resti il superiore come capacità intellettive.
Ma io te lo vorrei far vedere quando lo dice a chiunque incontra. Gli occhi gli brillano per la gioia e l’emozione di avere un figlio come te, ed un cugino come me. Ha sempre desiderato, per noi due, un riconoscimento degno delle nostre qualità, in un momento storico che premia solo coloro che sono capaci di vantare tutto ciò di cui non sono capaci.
Ma lasciamo da parte queste quisquilie terrene e veniamo a noi.
Durante la tua ultima sofferenza, che hai sopportato con cristiana rassegnazione, tua madre ci ha invitato tutti a pregare per te; ed io ti ho pensato molto, e proprio avendoti al mio fianco mi sono ricordato di una splendida quanto disarmante poesia di Khalil Gibran: I Vostri Figli.
Sono sicuro che sia stato tu a farmela rammentare, e non può essere altrimenti considerato che le mie sinapsi non sono più al loro posto, per poi riportarla in questi miei pensieri, affinché i tuoi cari la potessero leggere. E io ti accontento.
I vostri figli non sono figli vostri…
Sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima,
perché la loro anima abita la casa dell’avvenire
che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo,
ma non potete pretendere di renderli simili a voi,
perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’Infinito e vi tiene tesi
con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere,
poiché Egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.
Ecco fatto.
E sempre per restare eruditi vorrei riportare un frammento poetico di Menandro che recita: Muore giovane chi è caro agli dei.
Ma la frase, lo sappiamo, contiene un’eresia, poiché la morte non esiste: in quanto si tratta solo di un passaggio tra uno stato fisico ad un altro etereo, mentre solo chi è dimenticato muore davvero. E tu, di sicuro, non morirai.
Carissimo Antonio, noi tutti ovviamente non possiamo sindacare i disegni dell’Arbitro Divino, e io non sto piangendo, e mai lo farò, per questa tua improvvisa e repentina dipartita ma consentimi, anche se non sei d’accordo, una lacrima terrena:
E che cazzo! Almeno cinque minuti di recupero te li poteva concedere.
Ma lasciamo da parte le bestemmie, altrimenti rischio di frenare la tua ascesa.
L’ultima volta che ci siamo incontrati, questo me lo ricordo molto bene, mi hai detto: “Vieni qualche sera a cena da papà, così parliamo”. Va bene: non lo abbiamo fatto allora e perciò lo facciamo adesso. Solo che io scrivo e tu ascolti.
Adesso tu hai cambiato dimensione, ed io dovrei dirti che hai lasciato un vuoto incolmabile in famiglia, tra i parenti e gli amici. Ma non posso dirtelo poiché tu non hai lasciato un vuoto bensì hai riempito le vite di chi ti ha solo sfiorato. Hai arricchito chiunque si è trovato al tuo cospetto, e tutti hanno captato la tua capacità di vedere Oltre.
Tutto ciò che hai operato nella tua breve esistenza resta un mistero, a conoscenza solo di te e dell’altro: il prossimo. Però, poi, qualcosa è trapelato. E già!
Hai moglie e figlie, in età giovanissima, ma quando si è trattato della Chiamata, non hai reagito e come tuo costume, sottovoce, in maniera elegante, hai risposto di essere pronto per un compito più alto; ed ho pure saputo che fino agli ultimi istanti della tua permanenza terrena hai infuso coraggio e speranza a coloro che ti stavano accanto. Questo, conoscendoti, non mi meraviglia più di tanto, in verità.
Come hai visto le testimonianze di affetto e stima sono state strabilianti, soprattutto per il tuo papà che, pur sapendo della tua umanità, non si aspettava l’amore e i riconoscimenti che ti hanno tributato.
Magari adesso starai pure sorridendo.
Voglio infine ringraziarti per essere passato a salutarmi, l’altra sera, verso le dieci, quando la tua Anima si è fermata da me per un milionesimo di secondo, per poi ripartire a velocità supersonica verso quella Eternità che ti attende.
E io, in quell’istante, ho capito subito che avevi urgenza di recarti Altrove.
Carissimo Antonio, so bene che altri e superiori incarichi ti attendono e perciò non voglio trattenerti, ma quando puoi: fatti vivo.
Niente lacrime, abbiamo detto. E nessun Requiem Aeternam.
Però ci manchi.
E come se ci manchi.
Ovunque sei, ti giunga il mio sorriso.
Filippo