Verso un futuro incerto per il nostro Paese
Ormai la legislatura, iniziata fra grandi difficoltà politico istituzionali nel febbraio del 2013, si avvia alla sua naturale conclusione, anche se resta il nodo della legge elettorale affidata alle residue attività del Parlamento.
Ancora una volta gli italiani hanno forte la sensazione che gli anni appena trascorsi siano passati non solo inutilmente, ma che la situazione generale nel frattempo sia peggiorata negli aspetti economici e sociali.
La disoccupazione giovanile raggiunge oltre il 40% degli interessati, mentre quella complessiva è calcolata al 12%, si coglie nei cittadini un sentimento diffuso di incertezza in ogni settore, in specie per l’economia. Disillusione, unitamente a sfiducia nei governanti, qualche volta rabbia e addirittura paura di molte persone per il futuro ed in particolare per la continuità dei servizi sociali essenziali.
Infatti, la popolazione italiana, come la pubblica amministrazione ad ogni livello, invecchia progressivamente ed il sistema previdenziale non è alimentato da nuove contribuzioni sufficienti a poter sostenere il meccanismo di protezione sociale per molti anni ancora.
Nel mentre, le nostre forze politiche continuano a proporre discussioni astratte che non rivestono alcun interesse reale per la generalità dei cittadini, Invece alle prese con problemi più pratici e di pura sussistenza, quali sono quelli di riuscire ad arrivare a fine mese con i soldi di stipendi bloccati da un decennio e taglieggiati dalla crisi.
Risulta evidente il distacco fra i partiti politici ed i problemi concreti dei cittadini, con i bisogni crescenti della collettività che non vengono neppure avvertiti dalle istituzioni.
In questo preoccupante quadro fornitoci dall’attualità continuano ad innestarsi i problemi causati dalla nostra appartenenza all’Unione Europea. Rispetto alla quale abbiamo assunto impegni di sana gestione dei conti della cosa pubblica che peraltro mai avremmo potuto rispettare.
Purtroppo, nel 2012, con riforma costituzionale l’Italia ha inserito nella Carta costituzionale, la prima legge dello Stato, modificando il testo degli articoli 81 e 97 l’obbligo di ogni Pubblica amministrazione al “pareggio di bilancio” ed al recupero del deficit consolidato, con il meccanismo del c.d. “fiscal compact”. Ovvero, il rientro dell’enorme debito pubblico attraverso il taglio per i prossimi 20 anni di 50 miliardi di euro l’anno.
Nessuno crede che tale obbligo, decorrente infine dopo diverse proroghe, dal 2018, possa essere rispettato dal nostro Paese. Ma cosa accadrà? Nessuno può dirlo. Speriamo bene.
Giorgio M. Palumbo