Alexandra Rendhell ci parla di Eusapia Palladino

      La medium star disperazione della scienza

Introduco questa intervista alla D.ssa Rendhell con parole tratte dal suo libro.

Napoli ha sempre avuto, e conserva ancora, un rapporto molto particolare con l’aldilà, la magia, il mistero. Le sue strette viuzze, le profonde caverne che l’attraversano da parte a parte, formano quasi un sistema di arterie e vene nel quale far scorrere capillarmente l’energia tellurica, tanto potente e autoritaria quanto silente e assorta, sempre pronta a risvegliarsi e fuoriuscire, esplodendo chissà quando, chissà se mai! Un quando o un mai che solo lei, Partenope, ancella prediletta di quel consesso di antiche deità, potrà determinare.

Energia vitale e creatrice, che scorre nelle vene delle sue figlie e dei suoi figli, che li rende pazzi e geniali, in bilico perenne tra la folle ebbrezza di Dioniso, colui che torna dall’oltretomba alla vita, e la lucida razionale e logica filosofia di Apollo, portatore di luce e auriga del cocchio solare, anch’egli, però, non scevro dalla violenza.

La violenza del pensiero, delle parole che Apollo genera come dardi mortali scagliati dal suo arco per uccidere o, al contrario, creare pensieri sublimi, poesie, canzoni e opere d’arte meravigliose, d’amore o di morte, perché il verbo è amore che crea, ma anche morte che annienta, distrugge, disgrega.

Dioniso è istintivo, violento, selvaggio, ma anche passionale; sa amare con tutto se stesso, è pieno di energie nuove, coltiva la fantasia e l’arte che, insieme all’amore e all’irrazionalità, hanno in lui la loro radice comune. La musica, la poesia, l’estro, elementi fondamentali della straordinaria personalità dei napoletani, nei quali questi caratteri divini convivono bene, in una alterna armonica accettazione; così come la morte che, a Napoli è a stretto contatto con la vita, in un connubio che abilmente ne confonde i confini e li annulla in un dialogo continuo tra vivi e diversamente esistenti: i morti”.

Di e su Eusapia Palladino: donna del miracolo per alcuni, agente del demonio per altri, ne parliamo con l’autrice.

Come ha vissuto la fanciullezza, la giovinezza la figlia di Fulvio Rendhell?

Pressappoco come tutti i giovani, tra studi, piuttosto impegnativi, e il tempo libero suddiviso tra le mie tre più grandi passioni: la danza classica, la musica e la lettura. Sono sempre stata una persona molto riservata e le mie amicizie sono sempre state scelte tra coloro che condividevano le mie stesse attitudini, come il mondo del mistero, che mi ha affascinato e coinvolta fin dalla più giovane età. Come avviene per molti miei coetanei, anch’io ho vissuto alcune esperienze cosiddette paranormali, ma, mentre nella maggior parte dei casi, queste esperienze, prima, tendono a scemare e, poi, ad essere completamente dimenticate, per me ciò non è accaduto. Anzi queste capacità sono andate sempre più aumentando con il passare degli anni, trasformandosi e trasformandomi, fornendomi così l’opportunità di sperimentare “altre” Vie di Conoscenza.

I miei temi d’indagine erano costituiti, ed ancora tutt’ora lo sono, dall’attrazione per il mistero, per la spiritualità e per tutto ciò che sia pensiero, speculazione filosofica sull’esistenza, quindi la vita e la morte, il destino, le inesplicabili fenomenologie, di cui ero e sono protagonista, che osservavo ed ancora osservo intorno a me, ma anche, e principalmente, il perché della Creazione. Tutto ciò era pane per la mia crescita e lo è tutt’ora. Trovo ancora, come trovavo allora, inspiegabile il fatto che dalla maggior parte delle persone questi argomenti vengano elusi o addirittura negati e la loro argomentazione sia affrontata solo in campo filosofico speculativo o teologico o, peggio, evitati accuratamente o vilipesi.

Gli studi filosofici, prima, e antropologici, poi, non entravano in conflitto con queste mie istanze, ma ciò non mi bastava. Volevo andare oltre quel confine, quel limite insopportabile per me, imposto dalla sola formazione accademica.

Per me ogni confine è un muro, rappresentando, nel passato ed a tutt’oggi, non un ostacolo, bensì una sfida alla mia capacità di realizzazione; credo fermamente che i limiti imposti dalla pur rassicurante ragione creino spazi angusti entro i quali muoversi, nell’ambito dei quali si può rimanere impigliati ed imprigionati; io, invece, sono molto claustrofobica, ho bisogno di muovermi in spazi aperti, ariosi, senza limiti. I confini sono barriere poste dal razionalismo e dal dottrinarismo e generano quei preconcetti e pregiudizi, che paralizzano e danneggiano la vera Conoscenza, limitandola e demandandola alle sole competenze accettate delle accademie ufficiali. A tal proposito, amo citare una frase dell’antropologo norvegese Fredrik Barth, considerato uno dei più importanti rinnovatori dell’antropologia contemporanea: «Non si tracciano confini in virtù delle differenze; la verità è che le differenze vengono avidamente cercate e inventate al solo scopo di tracciare dei confini».

Pertanto, questa mia personale forma di studio e consapevolezza, che potrei definire allargata e senza confini, mi ha permesso e mi consente tutt’ora di penetrare in profondità tutti gli aspetti della Creazione e della Conoscenza, cosa che non mi sarebbe stata possibile se avessi seguìto solo corsi universitari, per quanto illuminati, profondi, ma ad ogni modo limitati.

Ha qualche aneddoto che ricorda in particolar modo di quel periodo?

I miei coetanei, specie nell’età preadolescenziale, erano tutti, chi più chi meno, attratti dall’occulto, dai fantasmi in particolar modo, e molti di loro erano appassionati lettori del mitico “Giornale dei Misteri”, mensile sul quale mio padre ha tenuto per ben trent’anni la seguitissima rubrica “La Magia Svelata”. Quindi ero in un certo senso in buona compagnia e per i miei compagni ero una sorta di punto di riferimento per quanto riguardava questo genere di argomenti; amavano sentirmi raccontare storie spaventose con protagonisti spettri e creature mostruose che la mia fervida fantasia elaborava. Racconti tanto realistici che una volta, ero in quinta elementare, una ragazzina della mia classe si spaventò talmente tanto per un mio racconto, che non voleva più venire a scuola. Inutile dirvi che fui severamente punita per questo fatto, punizione che io sentii come una grande ingiustizia in quanto sostenni che non avevo fatto altro che esaudire una richiesta della mia compagna di classe. Il problema era che la poverina durante il racconto aveva visto materializzarsi davanti ai suoi occhi i personaggi fantastici che la mia “fantasia plastica” aveva creato: avevo evocato i miei primi fantasmi.

Quindi, per Lei, occuparsi delle tematiche dell’Oltre è stata una conseguenza naturale?

Non proprio naturale, ma fisiologica, considerati anche i precedenti familiari. Chi più chi meno, in famiglia aveva una certa sensibilità che si manifestava in disparate forme e manifestazioni, dalla preveggenza alla vera e propria medianità. La mia sensibilità, invece era più rivolta alla speculazione dei misteri della Creazione, alla ricerca del perché dell’esistenza e alla consapevolezza dell’esistenza di Forze e dimensioni che sfuggivano ai consueti sensi.

Mi appassionava la conoscenza esoterica che è materia viva, sfuggente, in trasformazione continua e in costante rapporto col livello evolutivo raggiunto. Una conoscenza superiore finalizzata alla comprensione dei Misteri, grazie all’addestramento speculativo e di pensiero che si chiama, appunto, Magia. Una parola che oggi spaventa molti perché mal compresa nel suo reale significato, al punto che quando osiamo tirare in ballo la parola, Magia, non ci riferiamo certo a ciò che la maggior parte dei profani, non iniziati, la considera e, cioè, un’accozzaglia di ricette, formule magiche atte a stravolgere le esistenze di malcapitate ed ignare vittime; al contrario, la Magia è la madre di tutte le scienze, è «…quella scienza che tratta con i poteri mentali e morali dell’uomo, mostrando quale controllo egli possa esercitare su di sé e gli altri». E considerato che il termine Magia turbi ancora oggi le orecchie e le coscienze dei profani, preferisco a volte definirla come «sistema filosofico misterico esoterico, che trova anche nella vita pratica la possibilità di applicazione».

Perché un libro su Eusapia Palladino, una donna analfabeta che però sapeva leggere nel cuore degli uomini, che non si è mai tirata indietro pur di favorire la Scienza, nonostante le precarie condizioni di salute?

Lo scopo era di ridare voce, con la mia voce, a chi, la voce per difendersi, non l’aveva più o forse non l’ha mai avuta: tale è stato l’intento che mi ha spinta a scrivere questo libro su Eusapia, in cui si rinverranno alcune cose già conosciute e confermate da documenti, altre meno note, più qualcos’altro, e molto di inedito. Non di rado ho preferito tacere, come quando ho ritrovato la tomba di Eusapia: non sarebbe bello né giusto che qualche “personaggetto” televisivo di dubbia cultura, trovandosi il lavoro bello e pronto, si recasse in terra consacrata, con telecamere e strumentazioni varie in mano, pronto a violare l’altrui compostezza e dignità, spettacolarizzando l’ultima dimora di una donna che oggi chiede solo pace e giustizia.

Sono trascorsi poco più di cento anni dalla morte di Eusapia Palladino, una delle figure più controverse nel panorama della cosiddetta ricerca psichica mondiale; il 13 maggio del 2018 si è compiuto infatti il centenario della sua morte, ma le polemiche e gli animi ancora non si placano.

In occasione di questo centenario, molti sono stati coloro che, ancora una volta, hanno voluto parlare e, principalmente, sparlare non solo di lei ma anche di tutti coloro che furono suoi compagni di avventura in quello che fu uno dei più bei periodi storici, forse l’ultimo, che l’umanità abbia vissuto: la cosiddetta “Bella Époque”. 

Molti furono i successi di questa semplice ed ignorante donna del popolo assurta agli onori della cronaca per i suoi strabilianti presunti poteri misteriosi, a volte oscurati da qualche ombra, talvolta accompagnati da polemiche, che non intaccarono più di tanto la sua fama, che aumentava in maniera esponenziale. Mentre si ingrossavano le file dei sostenitori, come il Lombroso, che, dopo un primo scetticismo, non mancò di pubblicare articoli a lei favorevoli, da cui, però, traspariva la volontà di trovare per le innegabili fenomenologie una qualche spiegazione conciliabile con il pensiero scientifico, cresceva di contro anche il numero di coloro che la contestavano, non lesinando lo spargere secchiate di fango sul suo nome, sul suo operato ed anche su coloro che l’appoggiavano: Ercole Chiaia, il suo “pigmal-manager”, in prima fila, naturalmente. Fango che ancora oggi cola non solo sulla sua immagine e reputazione, ma anche sui suoi molti sostenitori; tra loro molti scienziati dell’epoca di nomea mondiale e uomini di raffinata cultura.

La fama della Palladino si estese e si consolidò nel mondo intero, anche grazie ai rapporti precisi e dettagliati che i vari studiosi, che si interessavano a lei, stendevano dopo ogni esperimento e che spesso erano pubblicati da riviste specializzate o quotidiani, in modo che anche un pubblico più vasto potesse essere sempre al corrente di quanto accadeva nelle penombre delle sedute spiritiche, grazie ai fenomeni da loro osservati, prodotti da questa donna tanto acclamata, ma anche tanto chiacchierata.

Ci fu chi gridò al miracolo, alla scoperta di un “mezzo”, di un “medium” straordinario che finalmente avrebbe potuto creare un ponte tra l’aldilà e l’aldiquà, demolendo l’ultimo tabù: la morte. Tra le fila di costoro, oltre ad appassionati e fanatici personaggi comuni, tesi alla spasmodica ricerca di avere conferme sulla sopravvivenza dopo la morte, si annoveravano i più bei nomi della scienza e della cultura dell’epoca: Charles Richet, futuro premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1913, che stimava Eusapia al punto di ospitarla più volte nella sua dimora ed invitarla al matrimonio di sua figlia; Cesare Lombroso, come detto, illustre psichiatra, padre dell’antropologia criminale, figura anch’essa controversa e ancora oggi molto discussa; Enrico Morselli, psichiatra di chiara fama; Filippo Bottazzi, fisiologo, mancato premio Nobel a causa della guerra, più innumerevoli altri non meno prestigiosi e famosi. Costoro la studiarono per anni, e sottolineo per anni, non per cinque o sei giorni come alcuni oggi pretendono di fare per mancanza di cultura, di pazienza e di mezzi. I risultati di queste osservazioni e sperimentazioni furono tutti minuziosamente e maniacalmente raccolti in lunghissime relazioni consultabili ancora oggi: basta saper cercare! Nel mio libro, per questioni di spazio, ne ho trascritte solo alcune, come quella pubblicata da “La Tribuna Giudiziaria” a puntate a partire dal 17 novembre 1892 (riprodotta nella versione originale ottenuta grazie alla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”) dal titolo “Il rapporto degli scienziati, tra cui Schiaparelli, sui fenomeni spiritici della E. Paladino (sic!)”. Ebbene, i signori che stesero questa relazione alla fine dei loro esperimenti tenuti a Milano nel 1892 giunsero alle seguenti conclusioni: «…Del resto noi riconosciamo che, dal punto di vista della scienza esatta, le nostre esperienze lasciano ancora a desiderare; furono intraprese senza la possibilità di sapere di che noi avremmo avuto bisogno, e gli strumenti ed apparecchi diversi, che abbiamo impiegato, dovettero essere preparati ed improvvisati per cura dei signori Finzi, Gerosa ed Ermacora. Tuttavia ciò che abbiamo visto e constatato, basta agli occhi nostri per provare che questi fenomeni sono ben degni dell’attenzione scientifica». 

Forse mi ero illusa che il mio faticosissimo lavoro di ricerca di documenti inediti sulla sua vita privata e pubblica contribuisse ad aprire, finalmente dopo tanto, un dibattito costruttivo e onesto su questa donna e, di conseguenza, su tutta l’ancora inesplorato campo delle ricerche psichiche… ma mi sbagliavo! 

Qualcuno ha pensato bene, roso dall’invidia per non essere stato in grado di raccogliere e “lavorare” tale immensa mole di materiali, di “criticare” una certa propensione della sottoscritta verso la Palladino e il non aver citato le fonti. Bugie, pretestuose e patetiche! Le fonti sono state citate e laddove, per motivi di riservatezza non lo sono state, mi sono resa disponibile a fornire, a seri ricercatori, le informazioni circa le fonti stesse. Che dovevo fare di più? L’anonimo, però, non ha potuto fare a meno di ammettere che il mio libro sia quanto più completo ci sia stato da cento anni a questa parte. Molti hanno volutamente ignorato l’aspetto umano di questa situazione, ma il mio scopo partiva proprio da ciò: dare giustizia non solo ad una donna tanto malvessata ed offesa, ma anche restituire a coloro, che la studiarono per anni, il giusto valore principalmente umano ed altresì culturale. Eusapia fu principalmente una donna che in qualche modo fu una vittima inconsapevole di una tendenza, una corrente di pensiero, il razionalismo, che anche a costo di forzature, pretendeva di fornire spiegazioni, adottando il metodo scientifico, a fenomeni che non erano quasi mai spiegabili con i mezzi e le conoscenze dell’epoca. Leggendo i resoconti degli scienziati, e valutando le apparecchiature a loro disposizione per la rilevazione dei fenomeni, viene quasi da sorridere. Oggi, però, i laboratori, anche i più scalcagnati per mancanza cronica di fondi, hanno a loro disposizione apparecchiature in grado, se sapute utilizzare, di condurre questo tipo di ricerche, ma nessuno sperimenta in maniera serena. Molti si servono delle consulenze o recensioni di discutibili “personaggetti” sperando di riuscire ad apparire in qualche articolo o di essere ospiti di qualche “trash-format” condotto da altrettanti ignoranti soggetti. Insomma, cadono le braccia! Se non sei amico di, parente di, devoto di quella parrocchia o di quel partito, non hai speranza che il tuo lavoro sia apprezzato, recensito o pubblicato da importanti realtà editoriali del nostro Paese. Magari in segreto, senza che venga fuori che si è letto il saggio storico biografico della Rendhell, si trascrivono le informazioni, i documenti inediti e li si mette da parte in attesa di poter “copiaincollare” senza citazione di fonte, alla prossima buona occasione, magari dopo che sia trascorso un decente lasso di tempo. 

Mi ha davvero meravigliato che studiosi seri ed accreditati, prima di scrivere sulla Palladino, non abbiano svolto le mie stesse indagini … oppure devo pensare che sapessero, ma hanno preferito che il vero non venisse fuori. In tal modo hanno potuto svolgere al meglio lo sporco lavoro diffamatorio verso colei che, in modo semplice ed ingenuo, si lasciò coinvolgere, a scapito della sua salute, da uomini di scienza, eruditi ed intellettuali in sperimentazioni senza sosta, per indagare gli inviolati confini tra la scienza e la metascienza, tra la fisica e la metafisica.

Oltre che una biografia su Eusapia, ho voluto ricostruire quel periodo storico pieno di fermenti e vive energie che animò l’allora scenario culturale. Che momenti, quelli con Eusapia e gli altri amici: Damiani, Chiaia, Lombroso, Morselli, Schiaparelli, Aksakof, Richet, Sidgwick, de Rochas, Flammarion, von Schrenck-Notzing, Lodge, Ochorowicz, Bottazzi e tutti gli altri, che si servirono di lei per l’alta missione della scienza, per scoprire le ancora inconosciute e potenti capacità della mente umana, se è proprio da essa che tali fenomeni si dipartono.

Victor Hugo, su “La Tribuna Giudiziaria” del 5 Luglio 1891, scrive: «Missione della Scienza: studiare tutto e tutto sondare». Dottoressa Rendhell, la Scienza, a suo avviso, ai giorni nostri, si è allontanata da questo dettame per piegarsi ad altrui voleri per ragioni più economiche che scientifiche?

La cultura e la scienza descrivono sé stesse come l’antitesi dell’interesse materiale, guidate da preoccupazioni più elevate, ma, purtroppo, sono entrambe dipendenti dal sostegno economico e politico come qualunque altro settore, anzi, probabilmente ancora di più. Quindi è più che certo che la scienza si sia piegata o, meglio, si sia orientata verso uno sfruttamento delle scoperte scientifiche per ragioni economiche ed è più che chiaro che anche la ricerca scientifica, nobile cosa, purtroppo venga finanziata da multinazionali, che certamente non sono mosse da fini umanitari, bensì esclusivamente da fini economici. Ne abbiamo avuto l’esempio durante la pandemia da Covid 19. Il sacrificio di tanti scienziati, spesso malpagati e precari, che senza sosta hanno trascorso nei laboratori i loro giorni, sperimentando febbrilmente e senza sosta in una corsa contro il tempo per trovare un rimedio, un vaccino, che potesse salvare la vita a milioni di persone, è stato ben sfruttato dalle multinazionali del farmaco per arricchirsi senza ritegno. Sappiamo bene com’è andata: costi altissimi ed ingiustificati delle dosi del vaccino, che non hanno permesso ai paesi più poveri di procurarselo.

Per quanto riguarda l’odierno mancato interesse della scienza ufficiale per queste tematiche, esso ha radici e motivazioni storiche e dobbiamo ricercarlo nella annosa frattura tra scienza e metafisica, che non è dei nostri giorni, ma ha origine meno recente, tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento. In quei tempi si discuteva molto negli ambienti accademici circa la natura di questi fenomeni, in un momento in cui il progresso scientifico aveva compiuto passi da gigante e il mondo era pervaso da un ottimismo dilagante per le nuove ed innumerevoli scoperte che facevano sperare nella nascita di un mondo nuovo, pieno di aspettative nella scienza e nella sua applicazione pratica, la tecnologia, che sembrava dovesse portare all’essere umano benessere e vantaggi inimmaginabili. La nuova era aveva incoraggiato la diffusione di una mentalità laica, che nutriva una grande fiducia nella scienza e nelle sue applicazioni e che rigettava visioni della realtà del mondo che non fossero quelle proposte dalla filosofia positivista (che ispirerà la futura sociologia), elaborata da Auguste Comte, che, volendo sbarazzarsi della metafisica, esaltava quasi religiosamente la conoscenza scientifica, mirando ad osservare per conoscere senza apriorismi. Ci si avviava, quindi, verso un dualismo psiche-materia, così che, verso la fine del secolo, con le geniali intuizioni del James, del Bergson e del Myers, parve essere alle soglie di una vera e propria rivoluzione scientifica.

Alcuni intellettuali affermavano che l’indagine scientifica dovesse quantomeno trascurare i fenomeni spiritici poiché, anche se genuini, a questi sarebbe risultato impossibile applicare il metodo quantitativo, dando la stessa motivazione secondo cui: si era mai tentato di studiare scientificamente la genesi di un poema, di un dipinto, di una scultura, di una sinfonia? I fenomeni dello spiritismo, tuttavia, non erano soltanto creativi, non derivavano solo da quella facoltà, certo misteriosa, ma normale e solitamente accettata, che è la fantasia, la quale, se pur quantificabile, in definitiva non contrastava con la scienza e poteva essere accettata come fatto a sé. La fenomenologia spiritistica, specialmente, presentava anche manifestazioni oggettive che rivoluzionavano le leggi della fisica, quali apporti di oggetti che attraversavano muri, contraddicendo le leggi dell’impenetrabilità, levitazioni che vincevano la forza di gravità, luci, profumi, musiche di cui si ignorava l’origine e che tuttavia colpivano i sensi ed impressionavano lastre fotografiche, forme fantasmatiche che lasciavano impronte nella paraffina e così via. Se tutto ciò avveniva, bisognava ammettere che il fisico, il chimico, il biologo avevano costruito leggi e sistemi in cui rimanevano lacune enormi. Allo spiritismo bisognava riconoscere, se non altro, il merito di avere sviluppato in modo imponente questa fenomenologia, già nota, almeno in parte, agli antichi magnetizzatori, ma che, verso il 1850, stava per essere messa in disparte. Un ventennio di esperienza spiritista, sviluppatasi nel modo più improvviso ed imprevedibile, non permetteva più questo accantonamento: lo scienziato aveva per lo meno il dovere di accertare se tutto ciò avvenisse davvero. Ed il problema che si posero gli uomini di scienza fu appunto questo: i fenomeni cosiddetti spiritici avevano una realtà o erano solo frutto di fantasia, di suggestione, di imbroglio? Nel momento stesso in cui la scienza si fosse disposta a considerare, ufficiosamente, la fenomenologia, che si presentava sotto la bandiera dello spiritismo, come intercomunicazione tra i viventi e i defunti, era naturale che lo scienziato dovesse prepararsi una giustificazione o addirittura un alibi morale. Solo la razionalità positiva poteva condurre l’umanità al progresso e quindi non ci doveva essere posto per credenze magiche, retaggio dei secoli bui.

Se però la scienza e la tecnologia potevano procurare prosperità e cambiare il mondo esterno dell’uomo, contribuendo al suo benessere materiale, nulla era stato fatto per scoprire la realtà interiore, che veniva sistematicamente ignorata e trascurata dalla scienza positiva, che mostrava così i suoi limiti, ignorando la conoscenza del profondo e le finalità dell’individuo nel mondo. 

Da queste manifestazioni emergeva un’energia psichica indomabile capace di attivare sogni nascosti, di oggettivare il sogno e la visione, di alterare il dato fisico, di dare letteralmente corpo al desiderio e ciò bastava all’uomo comune, a tutta quella vasta fascia di creature alla ricerca di risposte e balsami per l’anima prosciugata dall’indifferenza esistenziale, al fine di sfuggire ancor più all’anonima quotidianità. D’altro canto, tutto ciò non poteva soddisfare le più sofisticate e spiccate istanze degli uomini di cultura e le smanie di scoperte sensazionali degli scienziati, molti dei quali in cuor loro speravano in nuovi rinvenimenti che potessero condurli a comprendere le complesse dinamiche e le leggi cui sottostavano i cosiddetti fenomeni spiritici oltreché le peculiarità dei medium attraverso cui si producevano tali fenomeni, indagando sulla struttura organica dell’essere umano con la speranza di individuare in essa la sorgente della paranormalità, alla disperata e spasmodica ricerca di una sorta di conciliazione tra metapsichica e fisiologia. 

Come ben si vede, l’accanimento speculativo di queste grandi menti, scienziati affermati e stimati, nel voler a qualsiasi costo conciliare metapsichica e scienza, applicando le metodologie di ricerca, proprie delle scienze esatte, a fenomeni che invece sfuggivano alla consueta indagine speculativa, partorì teorie astruse e discutibili che non contribuirono certamente a far ulteriore chiarezza su fatti realmente accaduti e provati, alimentando, altresì, polemiche ulteriori e fratture tra menti eccelse, che, se avessero lavorato in sintonia e per amore della verità e non per tornaconto personale, forse avrebbero potuto giungere a qualche certezza, se vi possano essere certezze nella vita. Aveva avuto ragione il grande Dostoevskij quando disse che «la prova migliore dell’esistenza dei diavoli e della loro interferenza nel mondo non è costituita dai fatti spiritici, quanto dal dissidio che l’accertamento e la valutazione di questi fenomeni introducono nella società».

Inizi del Novecento. Napoli è capitale del Mistero: mentre oggi? Glielo chiedo in quanto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo si è registrato un fervido movimento intorno a queste tematiche. Difatti Eusapia Palladino era, di sicuro, la più gettonata, ma non mancavano altri medium.

Purtroppo, della Napoli Nobilissima del tempo andato, oggi resta ben poco e lo dico con grande rammarico e tristezza, essendo io nata in questa meravigliosa città ed avendoci vissuto e studiato per i miei primi vent’anni. Degli antichi fasti vissuti in quel periodo d’oro, in cui operò la Palladino, resta poco o niente. Anzi, lo stesso mio libro che avrebbe dovuto essere salutato con grande entusiasmo e partecipazione è stato a dir poco ignorato ed ostacolato anche da chi avrebbe avuto tutto l’interesse, pure economico, nella sua diffusione: mancanza di acume o semplice invidia, gelosia o incapacità intellettiva nel comprenderne i contenuti e il valore culturale e storico? Di tutto quel fermento meraviglioso, che vide Napoli quale capitale internazionale della ricerca e sperimentazione dei fenomeni cosiddetti spiritici, oggi non è rimasto alcunché, così come non è sopravvissuto quello spirito di internazionalità che si respirava allora, anzi, ho notato un certo bigotto provincialismo auto-celebrativo dilagante, specie in certi ambienti (chiusi in sé stessi) dove si dovrebbe invece accogliere e respirare aria nuova e stimolante proveniente dall’esterno.

Il giovane d’Annunzio partecipa ad alcune sedute con Eusapia dalle quali ne esce malconcio nonché vilipeso. Leggevo, se non ricordo male su “Luce e Ombra”, che il futuro Vate cercasse disperatamente un contatto con la defunta amatissima madre. Le risulta?

Ricercare un contatto con i nostri cari defunti è quasi sempre la motivazione che muove coloro che si avvicinano allo spiritismo. A questa volontà non sfuggì Gabriele d’Annunzio che, se pur partito con le prime ben note disavventure spiritiche proprio grazie alla Palladino (ricordiamo il ben noto “mazziatone” da parte di uno spirito energumeno), si avvicinò al tavolino spiritico con ben altro approccio dopo la morte dell’adorata madre, Donna Luisetta, che chiuse gli occhi su questo mondo il 27 Gennaio 1917 nella sua casa di Pescara; continuò forse anche in seguito, dopo il 21 aprile 1924, quando spirò la “Divina”, l’attrice Eleonora Duse, con la quale cercò un contatto ultraterreno attraverso alcune sensitive come l’affascinante Maria Bellini Gritti Lombardi, che divenne la medium del Vate negli anni del Vittoriale, come risulta dal carteggio pubblicato nel libro di Filippo Caburlotto, “Gabriele d’Annunzio. Inediti 1922-1936 – Carteggio con Maria Lombardi e altri scritti”.Tale carteggio, che spazia dal 1922 al 1936, mostra, ancora una volta, gli interessi di d’Annunzio per l’esoterismo, l’occultismo e le sedute spiritiche. Ricordo ancora Bice Valbonesi che, il 6 gennaio 1924, portava al Vittoriale un messaggio proveniente dalla madre defunta del poeta. Da allora venne da lui chiamata “La messaggera dello spirito occulto”. Conservo proprio un libro della Valbonesi con dedica autografa originale del Vate.

Alcuni, tanti, anni fa ho avuto il piacere di scambiare, via telefono, qualche battuta con Silvio Ravaldini. Gli feci una domanda, la cui risposta non riporto, che adesso rivolgo a Lei: che ne pensa del CICAP?

No comment! Non perdo tempo a dedicare i miei pensieri al CICAP.

A proposito del Ravaldini, e di un suo libro su Bozzano (Ernesto Bozzano e La Ricerca Psichica: vita e opere di un pioniere della parapsicologia. Ed. Mediterranee), sulla quarta leggiamo: «… Ma il paranormale, proprio perché è intrinseco alla natura dell’uomo, non ha tempo, ed i fenomeni di ieri pongono le stesse problematiche di quelli di oggi». Lei concorda?

Mi trovo in perfetta sintonia con il pensiero di Silvio Ravaldini, che con la sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto e tanti rimpianti.

Matilde Serao e Gustave Geley. La prima è scettica, canzonatoria ed irridente, direi, verso lo Spiritismo. Il secondo sigilla un suo pensiero affermando: «No, l’insensato sarebbe colui che, conoscendo i limiti del nostro sapere, affermasse perentoriamente l’impossibilità del fatto». Potremmo dire che era una risposta a colei (e tantissimi come lei) che si rifiutava di accettare ciò che va oltre il tangibile?

Certamente Gustave Geley, più volte presente nel panorama spiritistico di quei tempi come profondo studioso dei fenomeni, avrebbe ben potuto rispondere, argomentare e controbattere a Donna Matilde Serao, che invece non fece mancare il suo personale contributo al tentativo di affossare e screditare la moda spiritica «facendo volare i suoi mosconi antispiritici», se non altro per andare contro Don Eduardo Scarfoglio, suo marito, che invece non mancava di sottoscrivere verbali di sedute, a cui regolarmente partecipava con la Palladino. È rimasta nella memoria la seduta tenutasi sul suo yacht, durante la quale il giornalista si spaventò talmente tanto che cercò di scappare via. Ricordo un articolo su “Luce e Ombra” del 1905 “Lo spiritismo di Matilde Serao” ad opera di Vincenzo Cavalli e Gabriele Morelli. Come molti in quel periodo a Napoli, la Serao aveva partecipato ad alcune sedute con la Palladino e, non si sa se per fisiologico contrasto di sentimenti tra donne o se per spirito da bastian contrario o se per pura, semplice paura, la scrittrice e giornalista si pose nei confronti della medium e dei cosiddetti fenomeni spiritici in acceso contrasto, non scevra da una certa ironica, pungente vena satirica che metteva nei suoi articoli contro le pratiche medianiche. Oppure, come paventano Cavalli e Morelli, tali fenomeni, oltre alla paura che le procuravano, contrastavano con la sua religiosità. Morelli, che si sentiva un paladino della causa spiritista, non si lasciò scappare l’occasione per tentare di convertire la Serao, prendendo spunto da un elogio funebre da lei scritto su “Il Giorno” di Napoli del 4 febbraio 1905. Al Morelli non parve vero di usare le parole pietose scritte dalla giornalista in memoria di Henri Germain, direttore del “Credit Lyonnais”, morto da qualche giorno, per farle notare che dalle ispirate e poetiche parole veniva fuori il suo animo spiritista, traendone ispirazione per una sorta di tentativo letterale di “conversione”, scritto con sottile e garbata ironia, e pubblicato su “Luce e Ombra” col titolo “Verso lo Spiritismo (A proposito di Matilde Serao)”, interessante anche quale testimonianza di come fosse sentita la causa spiritista da quegli uomini che ne fecero ragione di vita.

Lei parla, in un suo passaggio, di Eggregora o Egregora. Abbia bontà: potrebbe semplificarmi il concetto?

Un problema complesso non può quasi mai avere una soluzione semplice, a meno che non lo si voglia banalizzare: questo è proprio uno di quei casi in cui un concetto non può essere semplificato né tanto meno banalizzato o svilito con una sintesi.

Le menti eccelse, così come i grandi pensatori, dànno le loro spiegazioni a fenomeni inspiegabili. Tra questi troviamo Paracelso e Jean Baptiste Van Hermont il quale parla di: «… forza organizzante del pensiero…». Potrebbe essere una argomentazione valida?

Potrebbe essere una scappatoia elegante e veloce, ma poco efficace e veritiera, alla sua domanda precedente.

Il Corsera, parla, nel 1892, di ciurmeria. Quali sono oggi i pareri e le conclusioni (qualora ce ne siano), tenendo pure presente che la materia è in continuo divenire di conoscenze e studi, così come in possesso di sofisticate apparecchiature?

Purtroppo anche oggi si potrebbe parlare di “ciurmeria”, magari adottando un termine più attuale. Il web abbonda di “operatori dell’occulto” e sedicenti medium che promettono contatti con i defunti come se fosse una cosa facile. Basta poco per rendersi conto in che mani sia finita questa materia. Purtroppo non sono affatto fiduciosa nell’evoluzione della ricerca in questo campo perché non ci sono i presupposti per condurre una seria e concreta speculazione; molti di questi ricercatori “fai da te” sono in buona fede e riescono ad ottenere buoni risultati, ma sono attratti solo dal fenomeno in sé, che in verità è spesso spettacolare e suscita notevoli interrogativi che restano senza risposte perché manca una collaborazione con la scienza ufficiale, che si limita a negarli aprioristicamente anziché porsi in quella condizione di osservazione e deduzione tipica della vera ricerca scientifica.

Inizi di Novembre 1892. Il rapporto delle sedute fa sì che, nonostante le 1.500 copie stampate in più, a Milano non si trovasse più un giornale. Tralasciando la costatazione che durante le elezioni i rivenditori lamentassero una preoccupante diminuzione delle vendite dei quotidiani, non riesco ad immaginare ciò che potrebbe accadere oggi, dove regna l’Information Overload, sui fenomeni prodotti dalla Palladino.

Ben sappiamo come internet abbia provocato la grave crisi della carta stampata, quotidiani e periodici compresi. Più probabile che saremmo bombardati per giorni dalle varie testate giornalistiche televisive che riempirebbero i palinsesti con i loro talk show, approfondimenti vari e maratone sfiancanti con ospitate della povera Eusapia messa sotto torchio dagli urlanti e volgari opinionisti di turno. Certi argomenti non vanno trattati ed affrontati in platee di tal genere, dove coloro che sono “invitati” cercano solo lo scontro, la lite, la bagarre con la scusa del contraddittorio.

A quanto si apprende dal suo libro anche il Corriere dovette rivedere le sue posizioni. Malgrado questo, Torelli Viollier non solo perpetuava col suo scetticismo ad oltranza, ma accusava sia Eusapia che Ercole Chiaia…

Il giornalista napoletano, Eugenio Torelli Viollier, ideatore e cofondatore nel 1876 del “Corriere della Sera”, fu, fin dai primi successi della medium, contrario alla Palladino, che lui giudicava un’abile imbrogliona in grado di raggirare il fior fiore della scienza. Il suo astio verso la Palladino e ciò che rappresentava ben si evince da quanto scrisse in un suo articolo del 25 settembre 1892 sul “Corriere della Sera”, riportato nel mio libro.

Torelli Viollier, risentimento personale a parte, incarnava un certo orientamento di pensiero che vedeva nell’ascesa dello spiritismo un grave pericolo sociale, ravvisando in esso un elemento destabilizzante delle vecchie consolidate certezze religiose e scientifiche che vacillavano sotto i “raps” dei tavolini dei medium.

La bagarre giornalistica provocata dagli articoli del Viollier contribuì a creare confusione nei lettori delle varie testate, che non poterono così farsi un’opinione corretta sui risultati delle sedute tanto vilipese dal giornalista. Come detto, a tali esperimenti presero parte esimi studiosi, quali il Lombroso, il Richet ed altri, dandone ampia testimonianza a favore, ad esempio, nel quotidiano “L’Italia del Popolo” che pubblicò, inoltre, anche un lunghissimo articolo in quattro parti di Cipriani che dettagliatamente confutava le accuse infamanti del Torelli Viollier.

Fu solo nel 1906 che la Palladino ebbe la soddisfazione di essere riabilitata dalle stesse pagine che l’avevano offesa, grazie alla penna prestigiosa e brillante del giornalista Luigi Barzini che prese parte a diverse sedute raccogliendo le sue impressioni in una serie di articoli dal titolo “Nel mondo dei misteri con Eusapia Palladino”, i quali rappresentarono una sorta di ammenda, di pubbliche scuse del “Corriere della Sera”, che anni prima tanto l’aveva calunniata attraverso la penna velenosa del Torelli Viollier. Barzini riferì sulle pagine del suo giornale con chiarezza, sincerità e obiettività i risultati delle sedute di Milano tenute tra il 9 ed il 30 novembre 1906, non tralasciando, infine, le sue personali considerazioni.

Lei ribadisce che la Palladino era una donna di gran cuore… e quando era a Napoli conduceva una vita modesta e viveva semplicemente. Quando poi si recava “in trasferta” cambiava atteggiamento. Capricciosa come una diva, pretendeva che la si trattasse da star; indossava abiti lussuosi e preziosi gioielli, così come ingombranti cappelli. Da Varsavia ritornò con 14.000 Lire (60.000 Euro) in saccoccia. A questo punto le (e mi) chiedo: era realmente consapevole delle sue doti?

In un primo momento forse non ne fu consapevole; mi riferisco agli inizi, quando Giovanni Damiani la scoprì come fenomeno, ma col passare del tempo ne divenne ben cosciente.

La fama di Eusapia aumentò rapidissimamente con Ercole Chiaia, che la introdusse negli ambienti altolocati di mezza Europa e non tralasciò occasione per presentarla, metterla in relazione coi più alti spiriti di quel tempo. Le più importanti riviste ben presto si occuparono di lei; fu riprodotta la sua fotografia in mille modi; fu esaltata con stupefatta ammirazione la sua prodigiosa soprannaturale potenza. Così, per un trentennio, ella comandò a bacchetta scienziati e letterati, giornalisti e uomini politici, principi e Imperatori. Quando Eusapia si recava a Parigi aveva il viaggio pagato così come tutti i trattamenti, oltre ai compensi, che salirono a somme cospicue. Il buon astronomo Flammarion le mandava cinquecento lire ogni due mesi in segno di stima e di considerazione. Eusapia non tollerava di essere ignorata e ne è un esempio un episodio accaduto in Russia. La Palladino si lamentò con l’Aksakof dell’accoglienza del Gran Duca, che lei percepiva prevenuto e sospettoso, ma ebbe da ridire anche sulla camera dell’Hotel che questi le aveva riservato per la sua prima notte a San Pietroburgo. Una stanza fredda e poco ammobiliata che anche dopo che fu riscaldata, rimase squallida e non di gradimento da parte di Eusapia, che si lamentò anche di dover rimanere sempre sola per tutto il giorno. In una sua lettera Aksakof raccontò al Chiaia che la Palladino si recava a trovarlo molto spesso, visto che lui era ammalato e impossibilitato a muoversi di frequente e che era molto richiesta per le sue sedute. La Palladino, preceduta dalla sua fama, da San Pietroburgo giunse a Mosca dove un ricchissimo commerciante le offerse la bella somma di 1000 rubli per cinque sedute, nonostante il Gran Duca ne avesse offerti ottocento purché lei rimanesse a San Pietroburgo per un intero mese. Si vede che ad Eusapia non era andata giù l’accoglienza del Gran Duca e la sua non splendida accoglienza e preferì passare al servizio del generale Rakoussa, che aveva un gruppo di amici che volevano sperimentare con lei a qualsiasi prezzo.

Poi però le rubano tutto e subito dopo si verifica un evento miracoloso, che praticamente non lascia più dubbi sulla veridicità dei suoi poteri. È così?

In realtà non fu proprio così, lei ebbe sentore che qualche cosa di brutto stesse per accadere grazie ad un sogno premonitore, ma nemmeno lei, sodale degli spiriti, aveva potuto fermare ciò che il destino, forse, aveva già scritto. I fatti nella loro precisione, furono raccontati da un suo conoscente, Francesco Graus, che raccontò di come la Palladino si rivolse ad una sonnambula, una certa Del Piano, per cercare di scoprire gli autori del furto, ma purtroppo anche se la sensitiva dette importanti dettagli sugli autori, nulla si poté fare per recuperare la refurtiva.

Pur essendo (io) di estrazione e (con)formazione cattolica, la preghiera del Requiem Aeternam, poco la digerisco. Non mi pare, a quanto mi par di percepire, che dall’altra parte troveremo una sorta di riposo eterno. Sembra che ci ritroveremo in una continua ascesa verso la Luce. Lei che ne pensa a riguardo?

Fin da giovani dovremmo abituarci a pensare alla morte come ad un processo naturale, fisiologico, di crescita e trasformazione della nostra vera essenza interiore, che, attraverso le esperienze della vita sulla terra, aumenterebbe il tasso di vibrazione spirituale e non come ad un inevitabile tragico epilogo della nostra esistenza. Nascendo, prendiamo possesso di un corpo, morendo, lo abbandoniamo, in un continuo processo di morte e rinascita che ci permetterà di procedere nel cammino dell’evoluzione della nostra vera essenza spirituale.

  1. Eusapia Palladino è a Cambridge. Il professor Ochorowicz stila una precisa analisi di quanto accaduto. Anni dopo Enrico Morselli critica l’operato degli sperimentatori. In particolar modo identifica in Richard Hodgson il componente negativo il quale, a dire del Morselli, sarebbe stato l’artefice del (mezzo) fiasco registrato dalla Palladino nelle sue sedute. Come si spiega questo passo falso?

La lucida e precisa considerazione del prof. Ochorowicz mette l’accento sulla leggerezza con la quale furono condotti gli esperimenti, compreso quello tanto chiacchierato di Cambridge, dove non si misero in atto alcuni dei fondamentali accorgimenti per un’imparziale e costruttiva osservazione dei fenomeni. La cattiva disposizione del dott. Hodgson, che sicuramente innervosì la medium con la sua ostilità e diffidenza preconcetta nei suoi confronti, e la mancanza di accertamenti reali sulle presunte frodi crearono un vespaio intorno a quella esperienza che avrebbe potuto essere una eccezionale opportunità di indagine, vista la levatura dei partecipanti e che invece si tramutò in un’altra buona occasione persa per la ricerca. Le critiche mosse in questa occasione dallo studioso polacco, potrebbero essere estese a molte delle sessioni sperimentali a cui fu sottoposta la Palladino, che, a ben riflettere, fanno pensare più a una sorta di competizione tra studiosi, sempre in gara tra loro per arrivare primi ed aggiudicarsi la paternità di nuove leggi di natura, invece che ad una vera e propria genuina volontà di ricercare la verità. Eusapia, a tal proposito, risultò ancora una volta essere solo un mezzo per tale scopo: esplorata, esaminata clinicamente, sottoposta a estenuanti “tour de force” di ore e ore, senza considerazione della sua salute fisica e mentale.

Henry Sidgwick, col suo negativo rapporto, suscita polemiche a non finire; mentre Lodge e Myers smorzano la frode: ma davvero Eusapia possedeva la capacità di imbrogliare siffatti uomini che, di sicuro, non erano buontemponi qualsiasi?

Eusapia, per sua stessa ammissione, ogni tanto era costretta a barare e con candore ed ingenuità lo afferma in un’intervista rilasciata al prestigioso “Cosmopolitan Magazine”, nel febbraio del 1910, dal titolo «My Own Story». In uno stentato e dialettale italiano con l’aiuto di un interprete, Eusapia raccontò per la prima volta ad un giornalista, lei che era molto riservata e gelosa della sua vita privata, la storia della sua vita. In uno di questi passaggi, confidò all’intervistatore che qualche volta si era vista costretta a mettere in atto qualche piccolo trucco per non deludere le aspettative dei presenti che credevano fortemente in lei. Quest’ansia da prestazione fu però interpretata dai suoi detrattori solo come una volgare trovata per imbrogliare i presenti. Naturalmente le sedute da salotto si prestavano più facilmente a queste piccole trovate; tutt’altra cosa erano le sperimentazioni in laboratorio, dove la poverina veniva sottoposta a controlli serrati, che avevano a volte il sapore di vere e proprie torture. Tutto ciò per avere la massima sicurezza che non ci fossero trucchi o inganni.

Una mia autrice preferita è la D.ssa Elisabeth Kubler Ross. Prendo in prestito il titolo di un suo libro, La Morte e il Morire, per chiedere: come definisce, Alexandra Rendhell, la Morte? 

Creazione, vita, morte: eventi non spiegabili univocamente dalla scienza, la quale si serve della sperimentazione e della propria ristretta e convenzionale logica, ma fatti comprensibili ed assimilabili solo grazie ad un ribaltamento definitivo di prospettiva dovuto allo studio ed alla conoscenza dei Misteri, senza la percezione e l’apprendimento dei quali non può comprendersi appieno quale senso avrebbe la nostra vita, breve ed impervio percorso tra l’orrore del feto, che viene strappato al confortevole e sicuro grembo materno con la nascita, e l’angoscia della morte. 

Tutti sono concordi nel definire la morte quale estremo Mistero, come qualcosa di inconosciuto, insondabile, ignoto, ma, per l’iniziato, la parola Mistero ha ben altro significato. Nel linguaggio iniziatico, i Misteri sono, infatti, dei riti, delle cerimonie, consistenti in una serie di atti simbolici, di prove morali e fisiche, attraverso cui viene data al neofita la sensazione che egli muoia per rinascere a nuova vita. Un passaggio da uno stato di essere normale, ad uno stato superiore di essere, da Profano (dal latino “profanus”, composto di “pro” «davanti» e “fanum” «tempio, luogo sacro», cioè «che sta fuori del sacro recinto») ad Iniziato (dal latino “initium”) per iniziare un percorso, un cammino.

I Misteri rendono possibile la risalita interiore, che di grado in grado, conduce allo stato di illuminazione perfetta. Attraverso i Misteri, un individuo scopre quei mondi invisibili, che si stendono al di là della materia fisica, e soprattutto la divinità stessa dell’uomo. «O anima cieca! − si legge nel più antico testo dell’esoterismo egizio, “Il libro dei Morti” − prendi la fiaccola dei Misteri e, nella notte terrestre, scoprirai il tuo doppio luminoso, il tuo io celeste. Segui il tuo divino maestro; egli sarà il tuo genio, giacché detiene la chiave della tua esistenza passata e futura».

La morte, dunque, lungi dal rappresentare la fine della vita, per l’Iniziato costituisce un mezzo di elevazione, una ascesi, un’iniziazione ai Misteri. Ed infatti il termine Mistero (dal latino “mysterium”, traduzione del greco “télos”, che significa “compimento”) è analogo a “teleuté”, che significa “morte”. La morte è per i profani, per coloro che sono ancora immersi nella materia, la grande nemica. Per l’Iniziato, invece, la morte è colei che apre “Le Porte della Vita” e, come diceva il grande Maestro esoterista Apollonio di Tiana: «Nessuno nasce o muore se non in apparenza. Il morire non è altro che il passaggio dalla sostanza all’essenza ed il nascere, al contrario, dall’essenza alla sostanza».

Dottoressa Rendhell, Lei chiosa con una accorata lettera ad Eusapia: possiamo concludere questa nostra chiacchierata affermando che Eusapia Palladino, come tutti gli esseri viventi, chiedeva solo di essere amata?

Probabilmente sì e lo si evince dal ritratto che lei traccia di sé stessa nella citata intervista rilasciata a New York al “Cosmopolitan Magazine”, dalla quale viene fuori la sua vera natura sensibile di bambina bisognosa di cure e d’affetto materno che cercò per tutta la vita. Ma si intuisce anche il suo istinto materno non espresso, perché non aveva avuto figli, e come riversasse il suo potenziale affettivo sulle povere creature abbandonate del suo quartiere.

Ed è forse da ricercare in questa sua fame di amore e di attenzione, la sua adattabilità caratteriale e quel suo voler per forza sempre compiacere tutti coloro che le volevano bene e credeva amici e che la consideravano indispensabile per il progresso della scienza, grazie ad i suoi doni eccezionali.

Un libro che scorre fluido come il Rio Bo. 

Scritto in maniera raffinata ed elegante; uno scrigno stracolmo di episodi illuminanti, contenente gli articoli di giornali, nazionali e stranieri, che parlavano di lei; che riporta le impressioni dei numerosi studiosi che in Eusapia credevano, per la genuinità dei suoi fenomeni, e di quanti la accusavano di imbrogliare. 

Un volume paradigmatico per chi vuole scoprire la figura intima e pubblica di Eusapia Palladino e che non manca, in alcuni passaggi, di ironica dissacrazione. 

Mi piace chiudere questa splendida intervista con Alexandra Rendhell, avvenuta grazie all’ intermediazione del Professor Tobia Iodice, con le parole della stessa Eusapia Palladino, che ebbe a dire: 

La mia non è una carriera ma un destino”.

filippodinardo@libero.it

 

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