La teoria della Sincronicità è un concetto che sostiene che gli eventi della nostra vita hanno una propria ragione d’essere, e l’insieme di coincidenze altro non sono se non un disegno già precostituito. In altre parole, contraddicendo la filosofia del Libero Arbitrio, niente accade per caso.
Ci si potrebbe soffermare a lungo su questa concezione ma, a ben rifletterci e per quanto mi riguarda, è proprio così.
Martedì 4 Giugno scorso la Pro Loco di Giugliano ha organizzato, nella Sala Teatro del 1° Circolo Didattico di Giugliano una serata in ricordo di Massimo Troisi, con musica live e la proiezione del film: Scusate Il Ritardo.
Confesso che non ci volevo andare, giacché prevedevo che si sarebbe fatto tardi; ma siccome c’era un prologo musicale mi ci sono recato.
Ed ecco la coincidenza. Si sfora con l’orario per problemi tecnici e nell’ attesa che tutto si sistemi sono fuori nei giardini; e qui avviene l’incontro, con Ciro Ridolfini, prima, e con Alessia Moio subito dopo.
Due sorprese. Una concomitanza non da poco.
Si parla di musica e altro.
Finalmente arrivano le attese esibizioni. Sono seduto al fianco di Armando De Rosa, Presidente Pro Loco Villaricca, e siamo rapiti dall’incanto.
Siccome credo nella suddetta Sincronicità, colgo l’occasione per chiederle un’intervista.
Alessia Moio, accetta gentilmente di togliermi alcune curiosità.
Ecco di che si è parlato il giorno dopo.
Hai iniziato a far Posteggia in giovanissima età. Credo sia stata una palestra sia artistica che di vita. Che ricordi hai di questo tuo cantare sul lungomare più bello del mondo?
Ho ricordi belli, soprattutto in quelle occasioni liberty di palestra artistica ricordo di aver abbracciato per la prima volta il mandolino, inoltre io suonavo la chitarra, ma poi quando ho impugnato per la prima volta questo strumento l’abbandono alla professione di chitarrista cantante poi proseguì qualche anno dopo.
Erroneamente si potrebbe supporre che le esibizioni nella Posteggia siano per coloro meno dotati armonicamente, ma personalmente ho avuto modo di apprezzare cantanti/e con notevoli capacità artistiche. Vuoi sfatare un luogo comune?
Fare la posteggia è un arte difficile e faticosa;il tempo alzati vicino ai tavoli è molto lungo e stancante, devi possedere in memoria tanti testi e melodie di canzoni sapientemente studiate.Pochi riescono in questa impresa ma in molti svendono questa grande arte. Uno dei grandi possessori di questa arte era sicuramente Vincenzo Improta.
Dalle tue note vedo che hai perfezionato lo studio della scrittura napoletana. Perché è importante saper scrivere in lingua napoletana, tenendo pure conto che, talvolta, le parole, le frasi e i modi di dire, variano finanche da città a città?
È importante per un cantante interprete saper scrivere il napoletano, serve all’interpretazione di una frase, il napoletano antico usato nelle poesie se non lo capisci e lo comprendi bene non potrai mai aiutarti a donare accenti originali alle interpretazioni.
Oltre ciò, hai studiato Canto, Arte Drammatica e Comica nonché Storia ed Interpretazione della canzone classica napoletana. Quali sono stati i tuoi primi maestri?
Il mio Primo Maestro è stato Sasà Trapanese, poi ho adottato uno studio più approfondito in conservatorio la lettura e la scrittura musicale, importantissima per un cantante saper leggere la musica i punti espressivi di un tema sono importanti per l’interpretazione, sono in perenne crescita e adesso continuo i miei studi come cantante attrice insieme al Poeta Attore Ciro Ridolfini, attualmente regista del mio nuovo spettacolo.
La canzone classica napoletana necessità di una vera e propria interpretazione; in altre parole non basta solo cantarla?
Sì, esattamente non va cantata esaltando le doti vocali, ma va cantata esaltando la poesia, dietro a un opera scritta da un poeta non serve tanta voce, dietro alla canzone c’è il Poeta e questo basta: cantare è comunicare, non è egocentrismo ed esibizione.
La prima volta che ci siamo incontrati è stata la serata in omaggio a Massimo Troisi nel 1° Circolo Didattico di Giugliano. Tu hai proposto, di Pino Daniele, Suonno D’Ajere. Perché hai scelto proprio questa?
La trovavo inerente alla ricorrenza triste del grande Troisi, i due erano molto legati, questa quarta traccia del disco “Terra mia” di Pino Daniele parla di un Pulcinella smascherato, stanco, cambiato dalle circostanze della vita, lo stesso Troisi venne definito il pulcinella senza maschera, il comico dei sentimenti, gli stessi sentimenti fanno uso nel testo meraviglioso di questo brano, entrambi in settori diversi hanno rivoluzionato e donato un genere a una Napoli che resterà indelebile per tutti noi napoletani.
Facciamo un passo indietro. Nel 2015, al Conservatorio di San Pietro a Majella, ti laurei in Mandolino. Uno strumento, questo, simbolo di una napoletanità antica e recente al contempo. Com’è che ti ha conquistata?
La musica è una cosa che ho sempre amato fin da bambina, non saprei spiegarlo, la musica per me è stato sempre un mezzo di comunicazione che si fa base sui miei sentimenti e quello che provo.
Un altro “attrezzo” che ha una sua identità, e che tu suoni, è la Tammorra. Mi ricordo una serata indimenticabile quando, proprio nella Sala Auditorium del 1° Circolo, si esibirono Concetta e Peppe Barra con Alfio Antico. La Tammorra può essere dolente ed esprimere gioia: ma per te qual è la connessione che la accosta al Mandolino?
Sono due modi di comunicare differenti, ma hanno lo stesso obiettivo in comune, si esprimono con suoni diversi, la percussione dipinge con la ritmica l’intenzione, e lo stesso fa il mandolino, ma lo fa attraverso le note e i punti di espressione .
Una Napoli ormai dimenticata, è stata raccontata con le liriche e la musica, dai grandi autori di un tempo andato ma non affatto dimenticato. Quant’ è importante recuperare le nostre tradizioni musicali che il mondo intero celebra e che sono state soppiantate da ritmi e melodie che, a mio avviso, poco hanno a che spartire con la nostra storia?
Divulgare e recuperare la canzone napoletana classica è importante per la cultura dei giovani che oggi non conoscono le nostre origini, questi pseudo artisti annullano l’arte e poesia e contribuiscono al declino stesso della vera arte, noi artisti abbiamo il compito di proteggere le nostre origini e recuperare quante più canzoni possibili.
Ti chiedevo ciò in quanto ho sentito come, grazie al certosino lavoro di recupero del Poeta e Attore Ciro Ridolfini, ti sei cimentata con una Mandulinata d’antan di Bovio – De Curtis. Parafrasando Anna Oxa, direi che è stata un emozione non da poco. Raccontami com’è andata.
Un bel giorno ricevo una telefonata, perché Ridolfini nonostante si fosse rivolto ad artiste note per il recupero di questa canzone sepolta mai più cantata dai tempi di Vittorio Parisi , propose anche a me di recuperare il brano; io intuita l’importanza di un recupero prezioso, subito accettai di buon cuore questa missione, mi misi a studiare intensamente nel rispetto del grande poeta Libero Bovio, non sembrava vero il brano era tutto recuperato dell’intero corpus poetico e così il giorno della Pasqua 2019 è risorto.
Anche, e soprattutto, col Varietà si è mostrata una Napoli dai diversi volti e dalle infinite sfumature. Questo genere riunisce il canto, il dramma e la comicità che ci appartiene, in quanto congenite e ben visibili in ogni napoletano. Questi spettacoli stentano a ritrovare una loro collocazione. Anche in questo settore ti stai dando molto da fare…
Indubbiamente, perché l’arte del varietè, la si è sempre recepita come arte di secondo piano, invece è il pilastro fondamentale del teatro, senza il Varietè non sarebbe esistito il teatro umoristico,la commedia musicale, la rivista ecc.
… Ma è ancora il tempo delle sciantose?
Sì, è ancora tempo; certo la mossa della sciantosa ha trovato altri mimiche espressive, basterebbe pensare a Raffaella Carrà con il suo scatto di testa all’indietro, Ether Parisi con il suo slancio della gamba all’aria per raggiungere cicale.
Ascoltando anche altre tue interpretazioni, e mi riferisco in particolar modo a Chella De Rrose e Scetate, mi è venuto naturale accostarti alla Mirna Doris più passionale. Ma, come sempre, i paragoni e i richiami lasciano il tempo che trovano. Chiaramente hai il tuo stile che ti caratterizza ed identifica: ma se dovessi indicarmi il tuo punto di riferimento, qual è la cantante che più di tutte ha trasmesso le emozioni partenopee?
Io ho una concezione della canzone intesa come senso teatrale, potrei ispirarmi sicuramente alle sorelle Pagano, ottima la rivisitazione e l’interpretazione del genere varietè Viviani della Marina Pagano, mentre Angela cantava le vicende storiche di Napoli.
Hai pubblicato un CD, prodotto da Nando Iannuzzi ed Enzo Di Domenico: quali brani vi trova chi si pone all’ascolto? Ovviamente il repertorio classico napoletano è, a dir poco, sterminato. Com’è avvenuta la scelta dei brani?
Sicuramente la scelta dei brani aveva come indirizzo sistematico un riallaccio primario alla canzone classica napoletana, alcune di queste si immedesimano proprio in una melodia similare a quella classica, sostituendo la poesia con il racconto apportato dagli autori comunque in maniera molto bella promossa e apprezzata da me.
Facciamo ancora retromarcia. All’età di soli quindici anni vinci il Festival degli Sconosciuti, nato da un idea di Teddy Reno, in quel di Ariccia. Qual era il brano? E, soprattutto, che ricordo hai di quella serata?
Teddy Reno è stato in questo percorso molto vicino a me, e vincere quella edizione non mi ha cambiata la vita, ma sicuramente la impreziosita di bei ricordi che conservo gelosamente su Teddy Reno e Rita Pavone.
Poi sei nella terna vincente del Festival Di Napoli, organizzato da Massimo Abbate, figlio del popolarissimo Mario. Dopodiché sei prima nel Festival Milk And Coffy; primo premio Star Sprint; finalista a SanRemo Giovani. In pratica una carriera ricca di soddisfazioni. Rivedendoti ragazzina, ti aspettavi, un giorno, di ricevere tutti questi riconoscimenti?
Queste belle esperienze non mi hanno fatta esaltare più di tanto, e ne mi hanno cambiato la vita, ma mi hanno lasciato un segno utile per un minimo di curriculum.
Da buon napoletana, che rapporto hai con la scaramanzia?
Sono un po’ superstiziosa, e mi preoccupa quando cade accidentalmente, l’olio sul pavimento, ma resto comunque una credente religiosa che si affida sempre al Divino Signore.
Quindi possiamo accennare ai progetti a medio e lungo termine?
È in lavorazione il mio nuovo spettacolo prodotto da me e con la ricerca e la Regia del Poeta Attore Ciro Ridolfini, prossimamente tante novità, incrociamo le dita.
Una carriera, la tua, che, come si può costatare è in continua ascesa; ma, da quando è iniziata a questo momento, c’è qualcuno/a che vuoi ringraziare pubblicamente?
Sicuramente ringrazio le persone che mi hanno arricchito culturalmente musicalmente e professionalmente, ma la sola a cui devo ringraziamenti è me stessa per la voglia e la forza che ho avuto nel rialzarmi sempre da sola nonostante qualche colpo basso ricevuto da qualche mediocre che sempre si aggira nell’ambiante dell’arte.
Una voce, quella di Alessia Moio, che racchiude in sé tutti i profumi ed i colori mediterranei; un’artista che porta in giro la Napoli classica: quella dei maestri narratori di un tempo irripetibile, e che poco ha da spartire con ritmi e sound esasperati al massimo e che per niente rappresentano (tantomeno lo si pretende da coloro che artisti non sono) le sfumature melodiche e le liriche partenopee, che solo chi ha passione e competenza può continuare a perpetrare.
Ascoltatevi la sua Mandulinata: scoprirete l’estasi.
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