Deve esistere un confine: sempre, in tutto, per tutto, un confine ben delimitato da una linea; la linea può essere più o meno sottile, più o meno evidente, ma questa maledetta linea, come quel cazzo di confine, DEVE esistere. Deve.
Se così non è, da Protagora scivoliamo nell’eristica, il male – dopo esser stato banale – diventa normale, fondendosi in un tutto, unico ed indistinto, con il suo opposto, per il quale si perde perfino il nome.
Intervistare il figlio di un boss, può essere una scelta giornalisticamente condivisibile, come lo è stato intervistare capi o “ciancimini” vari.
L’intervista al figlio di uno dei simboli della lotta fra bene e male – gli altri sono stati dispersi nell’atmosfera col tritolo -, l’intervista al figlio di colui che del male ha rappresentato l’incarnazione per decenni, non in un attimo di follia; l’intervista al figlio dell’uomo che ha spazzato via con ferocia inesorabile pezzi di Stato, colpendo nella sostanza e nella simbologia, appunto, la resistenza al male di cui questo Paese era capace…
No, qui siamo oltre: oltre ogni deontologia ed ogni libera scelta ad essa correlata; oltre ogni linea di confine, ogni linea di demarcazione, ogni muro che separi cosa è tollerabile, praticabile, degno, da cosa non lo è.
Qui siamo nel campo di ciò che NON è tollerabile, NON è praticabile, NON è degno: e questo, sia chiaro, in linea di assoluto principio, a prescindere da qualsiasi contenuto l’intervista possa avere o non avere avuto.
Ah, no, in un caso il mio discorso non regge: nel caso in cui il rampollo del fantasma di Capaci e di via D’Amelio abbia detto che la mafia è merda, che la mafia è il male, che suo padre e chi lo ha affiancato sono dei maledetti assassini, degni solo di marcire, prima in una prigione, poi all’inferno. Se non ha detto ciò, Vespa deve sparire: i <<se>> ed i <<ma>>, stavolta non esistono, esiste solo <<con loro>> o <<contro di loro>>.
Andrea Carpentieri